C’è chi scopre di essere invecchiato quando gli si cede il posto in autobus o perché sì affanna a salire al secondo piano. Io l’ho scoperto in un recente incontro, allorché ho posto una domanda ad un influente oratore. La domanda era più o meno: “In che modo gli studi su questo specifico argomento si possono armonizzare?” E lo chiedevo in qualità di delegato di un importante istituto gemmologico internazionale e di editore di una Rivista, giovane ma, credo, già rispettata. La risposta mi ha raggelato. Premetto che conoscevo l’oratore per la sua chiara fama, ma non di persona. Premetto inoltre di esser da molto tempo consapevole che la gemmologia è più ortodossa che ecumenica. Come si legge dal titolo, non sono dunque nato ieri e non mi aspettavo né un invito a pranzo e neppure che mi si consegnasse un’amichevole Marlboro con una complice manata sulla spalla. Volevo solo un’indicazione su come raccordare le ricerche. La risposta è stata più o meno: “Nessuna risposta è dovuta a lei, poiché ha scritto cose scorrette”. Agghiacciato, ho tentato di sapere quali cose delle tante, troppe che scrivo fossero scorrette. Ahimè, tempo scaduto, non si poteva continuare. L’incontro era finito e poco importava che qualche decina di persone avesse assistito alla mia scottante umiliazione, privata altresì della legittima facoltà di replica. Mi sono allora precipitato verso quel severo oratore. Ma mi sono dovuto fermare: concedeva pacatamente interviste. Non si creda che in quei lunghi minuti d’attesa covassi rabbia. Io provavo timore. Qualche refuso, qualche errore di battitura, qualche statistica inesatta? E, se in buonafede, perché non si potrebbe sbagliare? Beh, si potrà sempre rimediare. Ma, prima, devo capire cosa può aver causato tanta sfrontata asprezza. Finalmente avvicinai il mio austero censore e gli chiesi ragione dell’attacco, già pronto a scusarmi se mi avesse informato di un mio qualche infortunio nella scrittura. Qual era dunque l’articolo, l’argomento che aveva guadagnato la bile furiosa del suo inflessibile scrutinio? La sua prima risposta, in pubblico, mi aveva fatto l’effetto di un cazzotto grintoso ed sferrato dalla tribuna da un insospettabile gentiluomo che di colpo inaspettatamente si rivela un boxeur. La seconda risposta, in privato, mi ha ridotto al tappeto, esanime. Incalzato dalla mia ansia mi ha detto: “Va beh, non mi ricordo bene esattamente cosa hai scritto...” Tutto sarebbe filato liscio se quello non fossi stato io ma un ineffabile monaco tibetano, senza l’orgoglio di un ego, seraficamente immerso in olimpica indifferenza. O Mr. Bean in un nuovo, esilarante episodio. Invece ero io. E da quel giorno sto aspettando che finalmente una lettera, una telefonata, un atto di addebito mi arrivi preciso a indicare l’errore. Invece l’accusatore, dopo uno scambio di reciproci biglietti da visita, mi ha lasciato al vuoto del mio destino. Non l’ho più sentito. Ed allora mi sono risvegliato dal miserevole knockout, convinto di essere stato sbalzato in un universo fuori dal mio tempo. Compio 170 anni. Devo essere nato più o meno nel 1850, quando i nuovi Parlamenti si sostituivano ai Palazzi Reali e le Università ai Templi. Tramortito, ho ricordato i nostri padri che raccoglievano umilmente dati e li discutevano col metodo del confronto della scienza positivista. Quando le cose tu le potevi affermare e qualcuno te le poteva contraddire, quando il materiale scientifico veniva confrontato con ardore, ma sempre con rispetto. Potevi riscontrare, verificare oppure confutare una tesi. Dare ragione, cambiare idea o far cambiare idea. Essere avversario ed amico. Sì, dopo le mie circa 170 candeline vedo che questo mondo è diverso da quello. I nostri padri compilavano ricerche maestose perché noi ci facessimo una libera opinione. I nostri figli, pure disponendo di miliardi di informazioni, non sanno neanche più abituati a cercare. E noi, a volte, senza nemmeno conoscerci, comunichiamo privi di grazia e con urgenza selvatica, come si vede fare in alcune chat maledette in cui capita di precipitare imprudentemente nei social. Vorresti dialogare ma ti senti goffo di fronte ad argomentazioni generiche e fumose. Può ancora capitare quel che è capitato a chi s'è trovato sul banco degli imputati con una pubblica accusa che di nome faceva Andrej Vyshinskji, Procuratore Generale dell'URSS nella Mosca delle Grandi Purghe staliniane del 1935-1938. Negli stessi anni il Sig. Josef K., nel romanzo di Franz Kafka scopre di essere imputato in un processo per accuse che non conoscerà mai. La sua padrona di casa gli dice per rassicurarlo: “Lei non deve prendersela troppo a cuore. Che cosa non capita nel mondo!” Non bisogna dunque far caso a condanne basate su accuse di cui nemmeno si conoscono motivazioni? Bisogna farci caso invece. Se questa è l'aria che tira, tira un brutta aria, amici miei… |
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Settembre 2019
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