Chi opera nel ramo gioielleria ha aspettato a lungo un’inchiesta Quando si è stati spettatori di un episodio che diventa notizia di cronaca è interessante poter controllare quanto accurata o meno sia la rendicontazione che ne farà un giornalista. Ero lì, so le cose perché le ho viste. Posso verificare. Ma il rendiconto è soddisfacente? Non sempre. Motivi? Una certa sciattezza nel procurarsi le fonti, ricostruzioni nebulose dei fatti, non solo le stesse parole ma addirittura le stesse frasi, frutto di pigre e distratte operazioni copia e incolla. Questa premessa per dire cosa? Che, quando nel 2016 Milena Gabanelli, tra i pochi rimasti a fare inchieste scomode ai poteri forti, ha messo nel mirino i diamanti, noi del ramo ci siamo incollati agli schermi. Nell’attesa qualcuno era anche preoccupato. Questa volta possiamo fare noi il check, sappiamo di che si parla. Milena riuscirà mai a ricostruire la maledetta, intricata storia dei diamanti venduti a prezzi stellari, con la complicità dei poteri forti, ai poveri risparmiatori italiani? Un po’ di chiarezza avrebbe reso giustizia di soprusi che gli operatori avevano sotto gli occhi. Istituti improbabili e senza scrupoli, teste di legno del ramo bancario, hanno fatturato miliardi di euro facendo credere che i diamanti fossero dei titoli negoziabili. La truffa è andata avanti per oltre un decennio senza che qualcuno, tranne voci sporadiche tra cui la testata napoletana Preziosa Magazine e Federpreziosi, si facessero carico del dovere morale di fare il lavoro dei giornalisti. La corazzata bancaria colpita e affondata è costretta alle multe ed ai risarcimenti È andata bene. La potenza d’urto della macchina giornalistica di Report ha fatto crollare la miserevole messa in scena che permetteva la vendita di diamanti sopra i prezzi di mercato, tramite gli sportelli bancari e con tanto di listini spacciati per indici di borsa sul Sole 24 Ore. L’indisponibilità degli istituti di credito a motivare la propria colpevole complicità all’inganno s’è sgretolata come un castello di carta. Adesso, udite udite, stanno addirittura avviando i risarcimenti. Come ha fatto il giornalismo d’inchiesta a risvegliare dal torpore l’Antitrust? Come è riuscito a costringere l’Authority a comminare multe alle banche? A ridurre i truffatori dell’IDB sul lastrico? A far sì che le procedure di rimborso abbiano successo? La risposta è una sola: il lavoro della Gabanelli era ben fatto, le denunce delle associazioni erano circostanziate, i dati raccolti erano esatti, il meccanismo perverso è stato smontato efficacemente e ricostruito nei dettagli. Ecco come. Come la puntata di Report del 17 ottobre 2016 ha smascherato la truffa(citazione testuale del video) Prova che... Qui sta l’equivoco. Gli istituti bancari propongono contratti di acquisto di diamanti che sono in realtà sottoscritti da intermediari. L’acquirente invece è convinto di realizzare un investimento in titoli garantiti dalle banche. Il gioco delle tre carte. DPI non è l’Intesa SanPaolo. (citazione testuale del video) Prova che... Il contratto è una semplice vendita. Non è il diamante una commodity, un bene negoziato con titoli o una qualunque forma di investimento finanziario. La rivenduta è soggetta a un decremento di valore, la perdita dell’IVA, ed è comunque un semplice mandato a trovare un compratore, se lo si troverà e quando lo si troverà. Con ampi margini discrezionali e nessun obbligo per l’intermediatore. (citazione testuale del video) Prova che... La colonna portante su cui si fonda l’inganno è un’inserzione a pagamento che per anni gli intermediatori hanno acquistato su un quotidiano finanziario prestigioso ed autorevole. Le banche hanno spacciato questa pubblicità per un listino di borsa. Il dietrofront precipitoso del Sole 24 Ore Il Sole 24 Ore il 30 settembre 2017 offre un circostanziato resoconto a firma Nicola Borzì. L’effetto Gabanelli ormai si fa sentire. Il giornalista stima in 800 milioni di euro il giro d’affari dei diamanti spacciati come investimento bancario nel 2015 e nel 2016. Intermarket Diamond Business (Idb) e Diamond Private Investment (Dpi), i due principali broker controllano il 70% del giro d’affari nazionale. Nel pezzo si elaborano i dati dei bilanci di questi intermediari e delle agenzie che lucrano sulle pratiche opache di vendita. E si deduce giustamente che i cospicui utili provano che le operazioni sono fuori dai prezzi di mercato. L’andamento dei prezzi dei diamanti viene opportunamente misurato paragonando il listino Rapaport a quelli fasulli spacciati da IDB e DPI. I grafici confermano la truffa, solo che quei listini ingannevoli li aveva pubblicati proprio il Sole, senza mai domandarsi se quella pubblicità in effetti favoriva la truffa. Se alla data dell’articolo si fosse digitato su Google: “Il Sole 24 ore diamanti da investimento” sarebbe comparso un pezzo del maggio 2016, assai più compiacente verso le agenzie poi poste sotto i riflettori della Procura e della Consob. Un pezzo dal titolo “Se il piccolo risparmiatore compra diamanti invece dei bond”. In esso si strizzava, in tempi non sospetti, un occhio complice a favore dell’atteggiamento di attenzione che si voleva stimolare tra i risparmiatori verso i diamanti, descritti quali “investimenti” alternativi. Il ritorno della Gabanelli su Dataroom del Corriere. Questa volta si parla di diamanti sintetici Il 18 luglio 2018 il Corriere della Sera pubblica nella sua rubrica Dataroom un pezzo di Milena Gabanelli che ha per titolo: “Diamanti sintetici: irriconoscibili a occhio nudo, nascono in laboratorio in una settimana”. La giornalista questa volta esplora il tema della produzione e della commercializzazione delle gemme realizzate in laboratorio. Anche questa volta gli addetti ai lavori si sentono ovviamente coinvolti. Torna sui diamanti, allora c’è ancora qualcosa di grosso? No, niente di che. Gabanelli rende conto del progresso tecnico e dell’incremento delle vendite di gemme sintetiche. Si pone il confronto tra diamanti naturali e diamanti ottenuti in laboratorio e si espongono le ragioni che assegnerebbero, secondo la Gabanelli, un bonus di eticità a favore dei sintetici. Infine si riconosce che l’eventuale ipotetico sorpasso del materiale sintetico (in valore, avverrà mai?) a danno delle attività estrattive provocherebbe un grave danno ai paesi africani produttori, spesso con economie dipendenti dalla risorsa. Suggerimento di chiusura, spostare la manifattura delle gemme sintetiche in paesi quali il Congo. Perché per le materie preziose non si ricorre al parere degli esperti? Molti gioiellieri questa volta hanno storto la bocca. Non che il Corriere abbia pubblicato un pezzo privo di fondamento. Molti dati sono affidabili. È che non ci si riconosce, si stenta a tenere il filo, si perde il polso della situazione, il vero stato del mercato, il sentire degli operatori e dei consumatori. Nessun elemento è sballato, eppure persiste una nota stonata che accompagna il lettore per l’intero articolo. Ecco alcuni spunti. (Citazione da Dataroom) Osservazioni: Un raffronto energetico scientificamente attendibile riporta che nel 2011 Apollo Diamonds necessitava di circa 28 kilowatt/ora (kWh) per carato per produrre sintetici da tre a sette carati. La miniera Argyle usa mediamente 7,5 kilowatt/ora (kWh) per carato, de Beers 80,3 kWh ma conteggia le attività sottomarine. Lo sfruttamento minerario dei diamanti è operato da grossi gruppi che hanno da tempo intrapreso iniziative di riduzione dell’impatto ambientale. Alle strutture pionieristiche delle gallerie sudafricane si sono sostituiti investimenti minerari con voluminosi dossier ambientali. Un esempio tra tutti, il Canada. (Citazione da Dataroom) Osservazioni: Le critiche, anche legittime, allo schema di Kimberley abbondano. Ma il progresso etico nell’ultimo ventennio è stato prodigioso. Ma cosa sarebbe l’industria dei diamanti senza questa voluntary law transnazionale? Altre materie prime strategiche sfuggono ad ogni controllo sistematico. (Citazione da Dataroom) Osservazioni: L’uso del termine “brillanti” prova che l’inchiesta non ha consultato specialisti. La contrazione dei diamanti grezzi estratti è conseguenza della riprogrammazione dei siti estrattivi dopo la crisi. In realtà gli investimenti sono ripresi in modo consistente. (Citazione da Dataroom) Osservazioni: Solo negli Stati Uniti si sono costituiti gruppi strutturati capaci di offrire quantità significative di diamanti sintetici di grandi dimensioni soprattutto in rete. Non ci sono dati scientifici che possano misurare le reali intenzioni etiche degli acquirenti. In Francia si è partiti da poco e con numeri ancora poco significativi. (Citazione da Dataroom) Osservazioni: Carati “ruvidi” coltivati è un’espressione che ancora una volta denota l’assenza di addetti al settore nella compilazione dell’articolo. È evidentemente una maldestra traduzione di “Lab-grown rough diamonds”. Il prezzo di 800 $ si riferisce a pietre tagliate di circa un carato in determinate qualità e non a diamanti grezzi (ruvidi). (Citazione da Dataroom) Osservazioni: A dire il vero a questo punto andrebbero citati i numerosi interventi sulla catena di custodia dei diamanti realizzati attraverso la tecnologia blockchain. Ma si dovrebbero spiegare anche le complicazioni derivare dall’estrazione artigiana e poco costosa dei giacimenti secondari. Non è vero che i diritti umani siano violati sistematicamente. Non è vero che la produzione di diamanti sintetici possa offrire contributi occupazionali pari all’estrazione. Un quadro distorto che influenza un po’ tutti. Come finire di inguaiare il Congo
Ricapitolando, dagli articoli di Milena Gabanelli si percepisce correttamente che i diamanti sono oggetti di consumo che rappresentano il grosso del valore ella gioielleria mondiale. In Italia i consumatori sono stati rapinati da una trappola truffaldina ordita da molti istituti bancari in complicità con agenti mediatori a loro funzionali. Ma la prosecuzione della narrazione, dopo Report, non è articolata né ben documentata. L’avvento sul mercato dei diamanti sintetici infatti non può considerarsi il canto del cigno dell’estrazione di quelli naturali. Gli investimenti minerari sono diminuiti nel decennio scorso, è vero. Ma per la naturale riconversione degli impianti dopo i cicli produttivi. A ciò si deve aggiungere l’incidenza della crisi finanziaria generale. Il probabile incremento del consumo dei prodotti di laboratorio avverrà sicuramente per quantità ma difficilmente eroderà in valore la richiesta di diamanti naturali. Secondo lo specialista Martin Rapaport i costi sempre più contenuti dei sintetici deprimeranno lo sforzo tentato sinora di assestarsi su quotazioni vicine ai naturali. De Beers ce lo conferma: entra per abbassare i prezzi dei diamanti da laboratorio e creare una categoria commerciale nuova e differenziata. Si farà arbitro e garante di questa differenziazione. Le pretese di maggior eticità dei diamanti sintetici sono indimostrate. Studi scientifici provano che i costi energetici sono simili. E non è possibile liquidare le imprese diamantifere come nemiche dell’ambiente. Il Canada è un esempio di grande attenzione agli ecosistemi dei Territori del Nord. Le grandi imprese guidate da De Beers e Alrosa possono essere prese a modello da tanti gruppi estrattivi impegnati con altre materie prime. Le falle del Kimberley Process si conoscono bene e consistono, tra l’altro, nella porosità dei confini. Ma nell’insieme negli ultimi due decenni i rischi di abusi e finanziamenti di conflitti si sono ridotti di molto. Semmai resta da indagare sull’arricchimento dei gruppi, soprattutto militari, vicini alle elites politiche di molti paesi africani produttori. Ma la corruzione indotta dalla catena distributiva non pare una discriminante scrutinata con attenzione tra i vari criteri di eticità. Inoltre il resoconto del Corriere della Sera non menziona neanche di sfuggita le nuove procedure di tracciamento etico rese possibili dalla tecnologia Blockchain. Il presunto vantaggio etico dei diamanti ottenuti in laboratorio si aggiunge alle stime dell’innegabile escalation della loro produzione e determinano un pregiudizio ed uno sbilanciamento. A leggere, pare che il sintetico, più economico ed ugualmente bello, poiché sarà abbondante ed etico, fagociterà senza appello il mercato dei diamanti naturali. Alla nostra Milena questa prospettiva alla fin fine dispiace. Togliamogli pure i diamanti naturali e paesi come il Congo affogheranno. La soluzione le viene naturale, sulle indicazioni un po’ visionarie di alcune ONG. Portiamo allora la produzione di diamanti sintetici in Congo. Così il Congo perderà una risorsa sicuramente preziosa per ottenerne una che, si presume, sarà tra non molto, simile agli zirconi cubici o la moissanite. Non un’idea brillante. |
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Settembre 2019
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