La perfezione è un concetto che nasconde una sgradevole ombra di mediocrità. Dietro il mantra della perfezione in controluce il leggo una bella dose di meschinità da parte di chi, in gioielleria, non vuole prendersi la responsabilità di capire cosa è bello. “Non lo so, non voglio perdere tempo. La bellezza è la perfezione”. Non mi riconosco in questo gioco di luoghi comuni. Un po’ come la storia di vendere emozioni. La verità? Non mi riconosco in quelli che credono che la perfezione sia un valore oggettivo. Molto più interessante parlare di armonia. Quando ad Amsterdam vediamo i quadri di Van Gogh da vicino notiamo quasi delle escrescenze di materie coloranti. Nessuna stampa restituisce quella tridimensionalità “difettosa”. Ma il senso di armonia ci ricopre in modo voluttuoso. L’arte lascia volentieri la perfezione ai chirurgi ed ai meccanici. Molto meglio lasciarsi andare alle proprie sensazioni istintive. Quando ho trovato questi berilli mi sono sentito colpito allo stomaco. Sono venuti dritti da me dalle loro anonime buste. Erano già amici tra loro, affratellati dalla chimica, gemellati dal tagliatore che li ha trattati con un medesimo tocco, credo affettuoso. Le perle perfettamente sferiche. Le devo cercare, le devo avere, le devo vendere. Ok, sono d’accordo. Ma non mi dispiace che se le accaparrino i giapponesi. Non mi dispiace che alla fine io resti senza. Io mi sono accontentato di queste un po’ barocche, ciascuna imperfetta insomma. Ma mi ha rapito il lustro. E poi tutto questo, io imperfetto, lo ho esaminato con una mia amica orafa imperfetta. È la sua imperfezione la cosa che piace a tutti perché le consente una visione limpida e d’assieme che non posso che definire commovente. |
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Settembre 2019
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