È una vita che vedo vendere storie più che prodotti. Fino a qualche decennio fa il viaggio in Thailandia, in Cina o in India era raccontato come un romanzo di Salgari. Le Mabè erano le isole delle perle, i residui del turchese venivano triturati in una pasta, i rubini naturali venivano ricostituiti. Pare che l'oggetto prezioso autorizzi l'abuso di fantasia. Già il viaggio per procurarselo era, in tempi preglobalizzati, motivo di evocazioni di rischi eccessivi. "E che vai a fare se non spendi almeno 100.000 dollari? Non ti apriranno neanche la cassaforte! Devi chiudere i lotti interi, non ti fanno scegliere le pietre! Ti devi far presentare dalle banche!" Tigri e miniere nascoste erano protagoniste insieme ai rubini di trame che svariavano dall'avventuroso al poliziesco. Navigati commercianti levantini, quando ero un ragazzo curioso ma ingenuo, mi favoleggiavano di appuntamenti segreti, addirittura sequestri e subitanei rilasci in terre remote ed ostili. Mi terrorizzavano con storie di imboscate e di pestaggi. Mischiavano le carte, miscelavano favelas e Chinatown in aggrovigliati intrecci dai quali si veniva fuori solo perché loro avevano le conoscenze giuste. Raffinate tecniche tenevano lontani dai luoghi di origine delle pietre gente imberbe ed inesperta come me. Giovani e un po' rampanti, noi che al massimo eravamo andati ad Orvieto in autostop, quando si arrivava alla ricerca delle migliori provenienze delle gemme eravamo visti come scalpitanti outsiders. Vittime noi stessi di quelle leggende sulle pietre, sognavamo di poter raggiungere lidi generosi che ci figuravamo come gli affollati empori di Zanzibar. Solo che al posto delle spezie vi avremmo trovato lussureggianti cornucopie di tormaline, zaffiri, ametiste; mentre prosperose odalische polinesiane alla Gauguin si facevano aria con annoiati ventagli. "È pericoloso, i soldi li devi tenere addosso e tutti se ne accorgono. Chi ti vende le pietre poi te le fa rubare! I camerieri, devi avere paura dei camerieri! I tassisti sono criminali, ti faranno assaltare!". Il catastrofismo assumeva nelle narrazioni sfumature fantozziane. "Ti danno uno zaffiro che è blu quando lo compri. Poi lo metti in valigia e diventa bianco! Friggono smeraldi in olio di semi!". Oppure: "Io conosco il proprietario delle miniere, un vecchio ricco che non ha figli e bisogno di danaro. Dà le pietre solo a me perché gli sto simpatico e vive in una reggia ashram su un poggio isolato!". Erano racconti da TV in bianco e nero di un'epoca pregemmologica nella quale le notizie venivano diffuse e tramandate per via orale. Erano miti (che tutti volevano ascoltare) divulgati in una lunga catena di imprecisioni, distorsioni, aggiunte volute di fatti inventati. La gemma doveva essere un poco magica e misteriosa, doveva venire dall'Oriente, acquisita con grave rischio tra gli umidi monsoni, portata via con furbizia scampando a tranelli e posti di blocco. Pronti, via! Chi avrebbe venduto più pietre, io che al massimo raccontavo che avevo visto passeggiare Maradona a Piazza dei Martiri mentre ascoltavo il Modern Jazz Quartet o l'emaciato Rajasthano, un po' esule e un po' principe, astuto e discreto, che veniva percepito come fonte primaria ed imperdibile? Le sue pietre sapevano di zone remote e di mistero. L'esteso pubblico dei gioiellieri e dei consumatori finali assegna volentieri persino ad Ali Babà la palma di esperto di gemme. Se il personaggio sa ammaliare, i quarzi citrini possono diventare impunemente rari topazi. Un tipo di charme che più tardi imparai a sfruttare in un marketing che lavorava in senso inverso. Una mia cliente brasiliana prendeva nel mio ufficio a Napoli i miei quarzi citrini e le mie acquemarine brasiliane e li piazzava a prezzi più alti ai miei stessi clienti italiani spacciandole come sue. Ma se le portava lei, le mie pietre erano più brasiliane di quanto non lo potessero mai essere quando le portavo io. Semplicemente quando lei apriva le buste raccontava cose sul Brasile. I furbi napoletani degli Orefici degli anni ‘60 erano convintissimi che gli esperti commercianti ebrei, raccontando poche storie, non avevano la capacità di selezionare le pietre più belle. Presero a notare che d'abitudine le lasciavano mischiate in lotti indistinti. Scaltri vesuviani. Loro sì che se ne intendevano e sapevano pescare i bocconcini giusti. Solo che i bocconcini invece erano messi ad arte, come esca per allocchi, da venditori più scaltri di loro. Come se quelli poi potessero vendere in perdita merce rara ed introvabile! E così dalla diffidenza si passava in breve alla più incondizionata apertura di credito. Come non fidarsi di chi appare inesperto? Ancora oggi quelle bustine bianche di zaffiri australiani, scuri come le notti senza luna, tornano sulle mie scrivanie per essere valutati. Li rifilavano a poco, guadagnandoci bene. Non valgono nulla. Oggi, nonostante il villaggio globale del web, sono i consumatori privati a ripiombare nella rete della retorica delle pietre come grandi occasioni capitate per caso. I viaggi aerei hanno scalfito la leggenda dell'inaccessibilità dei luoghi di origine delle gemme? Ecco che il turismo di massa ha subito generato una mappa fantasiosa di esotici Eden preziosi. Esempio? Sono venti e p assa anni che dall'Egitto i turisti ci portano, col sorriso sornione di chi ha fatto l'affare, sedicenti alessandriti ed improbabili turchesi. La terra del Nilo non possiede né gli uni, né gli altri. Che diavolo c'entra l'Alessandrite con Alessandria? Quelle che comprano sono pietre sintetiche o materiali trattati nel colore, di basso pregio e di provenienza generalmente cinese. Una semplice assonanza e l'affare è fatto. Tante storie poi le hanno inventate i venditori a casa nostra. Per i nostri colleghi folgorati dall'Oriente il commercio non era disgiungibile dalla natura mistica delle pietre e dai superiori valori delle antiche civiltà. E giù a valanga resoconti sull'energia dei cristalli, trasmissioni di positività da parte degli ispirati tagliatori, saggezza millenaria dei disinteressati mercanti. Quarzi al posto di Aulin, tormaline nere in alternativa agli antidepressivi. Da un po' di tempo respirare, passeggiare, viaggiare, sorridere non sono più attività tipiche di un essere umano. Sono terapie. Se vedendo un verde intrigante di uno smeraldo o di una palma da dattero non volessi curarmi da un bel niente? Mi piacevo e mi dispiacevo prima di mettere la gemma al microscopio. Mi piaccio e mi dispiaccio dopo aver mangiato i datteri. |
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Settembre 2019
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