Da Napoli se ne partirono da soli. Piazza Mercato traslocò per prima ricostituendo il grande traffico dei tessili a Nola. Seguì la Piazza degli Orefici che edificò una elegante cittadella fortificata a Marcianise. Tra gli anni ‘80 e ‘90 la Campania si costituì come modello di delocalizzazione delle attività produttive. L'ispirazione, tutta interna al mondo imprenditoriale, resta ancor oggi lungimirante, ma gli esiti, dopo oltre un ventennio, sono ancora da valutare. Quella scelta di trapiantarsi a proprie spese oltre i 30 km dal centro di Napoli aveva qualcosa di temerario. Erano illuminati pionieri tutti i sottoscrittori di quel passo? Forse non tutti, ma certo ben difficilmente l'impulso di rilanciare il commercio di tessili e preziosi sarebbe potuto arrivare da soggetti pubblici. A guardare il futuro vent'anni fa ci ha pensato un impulso spontaneo puramente imprenditoriale. L'esito della delocalizzazione del CIS e del Tarì sarà misurato storicamente da economisti, urbanisti e geografi. E i dati andranno rapportati ai contesti di altre esperienze simili, oltre la Campania. Un elemento sembra però acclarato: l'isolamento degli imprenditori, la mancanza di una pianificazione concertata. Il parallelo tra CIS e centri orafi di Marcianise, trascorsi gli anni, ci mostra sorti differenti. CIS, Interporto e Vulcano Buono hanno fatto di Nola un'area economica articolata in un piano che integra meglio le funzioni di grande distribuzione, dettaglio, logistica e trasporti. Il visitatore ha l'impressione di un allargamento elaborato per fasi. Al contrario al Tarì, con le sue sole energie, non è riuscito quel processo catalizzatore che sfociasse nel radicamento irreversibile dell'intero comparto orafo sul territorio. Il comparto della gioielleria marcianisano s'è esteso sì, però senza riuscire a ingrandirsi. È cresciuto, ma è vivo solo il Tarì. Il resto è esploso in una bolla. A pochi metri di distanza il Polo della Qualità è una cattedrale in decadenza. Pur nell'ambiguità di mille diverse destinazioni d'uso ipotizzate, avrebbe ben potuto configurarsi, per esempio, come l'outlet del gioiello al dettaglio, estuario naturale verso il grande consumo del grande bacino attivatesi nel centro capofila del Tarì. Ma la sostanza del Polo non era più un autentico dinamismo orafo. Era una speculazione immobiliare. E lo sa chi ne ha pagato e ne sta ancora pagando i costi. E l'altro Centro, Oromare, ha fallito nel compito di insediare nel comprensorio l'economia del corallo, altra imprescindibile costola del gioiello campano. Torre del Greco non ha smesso, come la zona orafa del centro di Napoli purtroppo ha fatto, di essere il fulcro delle attività manifatturiere e distributive del corallo. Il progetto di delocalizzarsi per crescere non ha affatto sedotto i corallari. Semmai ha evidenziato una gestione ambiziosa e dissennata di alcuni spregiudicati amministratori. Il coraggio trasformato in presunzione. Perché le attività orafe sono partite così incisivamente ma poi, nel loro complesso, non hanno saputo irradiare uno sviluppo di lungo termine sul nuovo territorio individuato? Crisi generale e del settore, deficit manageriali nelle operazioni successive al brillante lancio del Tarì, stretta creditizia, interessi speculativi che hanno sovrastato e fagocitato i progetti imprenditoriali. Questi sono senza dubbio motivazioni su cui concordano molti. Ma forse il motivo di fondo è un po' quello che segna la debolezza del sistema produttivo italiano. Il frazionamento delle realtà imprenditoriali, questa è la fragilità. Gli orafi campani gestiscono imprese di ridotte dimensioni, una volta forza del nostro apparato produttivo, ma oggi un ostacolo. Nel moderno scacchiere globale la pianificazione e la ricollocazione territoriale può rilanciare un settore economico solo in una visione articolata e condivisa che affianchi alle risorse private uno schema progettuale di lungo respiro. Gli imprenditori devono sapersi associare in insiemi più strutturati e finanziariamente solidi e i centri devono elaborare sinergie di rete chiare e sostenute dai governi locali. In un momento segnato da una stagnazione diffusa più che mai si avverte la necessità di un modello creativo che integri il coraggio (che non può più bastare) degli imprenditori con un progetto ponderato che guardi al futuro. Se gli orafi campani esistono da 800 anni, perché dovrebbero rassegnarsi? |
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Settembre 2019
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