La convocazione Una delle più entusiasmanti convocazioni della mia vita avvenne nella primavera del 2008. Fui nientedimeno interpellato per redigere articoli sul mondo delle pietre. Chiunque mi conosca nella mia principale professione sa anche della mia passione nascosta per la scrittura. Solo che a me era toccato un destino tiranno. Quando, appena più di un ragazzo, cominciai a aprire le carpette di rubini e smeraldi, avevo infatti dovuto inevitabilmente mettere i tappi sulle biro, dimenticare il ticchettio della macchina da scrivere e lasciare tastiera e stampante al dominio esclusivo ed inesorabile della compilazione delle fatture. Poco tempo per altro. Leggere, sì. Ma dovetti dimenticare di scrivere. E dunque l’invito di Giovanni Micera, non tanto a me, ma allo scrittore dormiente in me, perché considerasse di collaborare col suo nascente Magazine, prima mi lusingò, poi mi inquietò. Ne avevo le capacità? Avrei avuto la necessaria autorevolezza? Comunque il Paolo dormiente (uno sconsiderato avventuriero/sognatore) accettò di slancio. Ma mi pose delle condizioni. Avrei dovuto svegliarlo per procurarmi le armi e le munizioni. Ricorsi innanzitutto alla collaborazione di uno specialista tecnicamente inappuntabile, il grande Alberto Scarani. Per mia buona sorte accettò l’inaccettabile, scrivere cioè a quattro mani. Non lo si può fare se non si ha un profondo rispetto reciproco. Ne sarebbe conseguita una meravigliosa sintonia di penna e di intenti, che fortuna! Da lì sarebbero nate idee eccellenti, perfettamente funzionanti ancora oggi in un sodalizio saettante di progetti. Il secondo strumento che mi convinsi ad usare è dato a tutti, non era nulla di nuovo. È quello che ha improntato tutta la mia vita, non solo professionale. Studio e studio continuo. Se serve dobbiamo metterci a qualunque età, senza complessi e vergogna, sui banchi di scuola. E se non si capisce, provare e riprovare. Quando venne fuori Preziosa Magazine, per la sezione gemmologica bisognava trovare la giusta strada. La Rivista aveva già uno stile ben marcato che prevedeva contenuti di livello in un frame moderno, tutto visual ed eleganza. Il Direttore risolse tutto nella maniera più pratica: lasciò liberi tutti, dormienti e svegli. E ce la cavammo. Una notevole attestazione di stima per un dilettante come me, ma anche un investimento sulla mia testardaggine, sulla mia voglia di riuscire. Come parlare di gemme senza scocciare? Parte Preziosa Ci guardammo attorno. L’approccio italiano al giornalismo gemmologico si poteva riassumere in ciò che io chiamo il modello Grande Bellezza. Eccolo qui in due parole. Fulminante Metafora per il titolo (tipo: Smeraldo, paradiso verde; Zaffiro, l’impero del blu etc.) e poi giù con proprietà, etimologia, pezzi famosi, giacimenti, leggende, credenze, etc. Insomma, un approccio apologetico o, se volete, agiografico. Essendo le gemme come doni divini immutabili, il gemmologo non ha che da officiare il rito di celebrazione della loro santa bellezza. Niente di male (la gemmologia del trionfo delle classi medie, dall’epoca vittoriana ad ieri, questo doveva fare). Ma neanche niente di che. Perché la Grande Bellezza delle Gemme è obsoleta? Perché pretende di continuare ad elevare al grado di notizia delle semplici annotazioni rassicuranti. Diamante significa indomabile, i Rubini migliori non sono riscaldati, gli zaffiri migliori ma introvabili vengono dal Kashmir etc. Provate a superare il terzo paragrafo. Le vere notizie non dovrebbero essere quelle che escono dal solco della normalità? Questa convinzione ci fece puntare sui trattamenti, ossia le forme devianti dall’ordinaria grande bellezza. E così Preziosa nel gennaio 2009 batte un po’ tutti sul tempo ed offre un documentato reportage sul rubino con infiltrazioni di sostanze vetrose. Era un lavoro non solo di allerta (truffe già venivano segnalate, ma molte furono evitate proprio grazie all’attenzione che ne derivò), ma anche di servizio. Alberto sottopose i miei campioni ad una specie di crash test, imparavamo da Quattroruote più che dall’editoria specializzata. Cosa succede al rubino quando lo trattiamo con sbiancamento, o con ultrasuoni, o con detergenti? In sostanza, nella vita di tutti i giorni della massaia o della manager, che fine fa un corindone riempito di agenti estranei quali il vetro ed il piombo? Una misera fine, in barba alla speculazione dei lestofanti che lo avevano venduto a 1000 euro anziché a quegli onesti 50/100 euro dell’effettivo valore. Non sta a me prendere meriti, sicuramente molto meglio si sarà fatto altrove. Ma una cosa la possiamo rivendicare, la tempestività del pezzo. Con lo stesso spirito di servizio Preziosa Magazine ha veicolato lavori di compilazione sulla diffusione profonda dei corindoni, sulla diffusione superficiale, sul tema del riscaldamento, sulle tormaline, sugli spinelli, sui granati, sulla questione dell’origine geografica, sulla macrofotografia delle inclusioni. Tutti gli articoli finivano sempre con interrogarsi quanto quelle gemme valessero effettivamente. Ma imparai ancora di più. E cioè che la divulgazione gemmologica periodica non può e non deve inseguire ad ogni costo i colpi ad effetto. Parliamoci chiaro, gli scoop sono rari. Quante volte si procurano allarmi solo per calamitare un po’ di attenzione sui propri canali? Molte. E quante volte capita proprio a te o i tuoi amici di identificare nuove manipolazioni di abbellimento? Mai. Non ci stupiamo, alcune notizie sono create per ottenere breaking news a buon mercato. Ecco perché ho pensato che potesse funzionare bene anche un’onesta focalizzazione su alcuni argomenti controversi. Quanti in Italia avevano afferrato le nuove frontiere dell’aggiunta di berillio nei corindoni? Cosa rispondere quando ci chiedono se è possibile attestare la provenienza geografica degli zaffiri e degli smeraldi? Fare il punto della letteratura scientifica, render conto dei casi vivi riscontrati sul mercato, verificare le quotazioni, illustrare i criteri di identificazione. Questo non era un colpo, certo. Ma credo che abbia funzionato bene lo stesso come informazione. Peccato solo che in digitale le foto siano sparite. Io, almeno dal mio iPad non le vedo più. Quei lavori sono ancora vivi. Te la senti di tenere un blog sulle pietre? Credo me lo disse al telefono. “Paolo, raddoppiamo. Te la senti di tenere anche un blog? Ho già il titolo: “Parole di pietra”. Questo fa un Direttore, vede cose che gli altri non vedono. Il fatto però era che non lo vedevo neanche io. Ok, aveva varato una serie di fili diretti con i lettori. Ma vi scrivevano giornalisti esperti e titolati quali Maria Rosaria Petito, compagna di Giovanni Micera, Annalisa Fontana, il compianto Gianni Roggini. La comunicazione intorno al mondo orafo era il loro pane quotidiano. Io da dove avrei potuto iniziare? Carta bianca. Nei due significati. Nel senso della solita massima fiducia in quella che sarebbe stata la mia impostazione, da parte di Gianni Micera. E fin qui OK. Ma anche nel senso di carta vuota, carta che stracciavo, appallottolavo, carta che ricaricavo e che rimaneva intatta. Gli aspetti tecnici erano già negli articoli, che dire d’altro delle pietre in un blog? Mi infilai in rete, che si faceva in America? No, non era lontano che dovevo cercare. Una notte capii. Il Direttore mi aveva invitato a tirare fuori le mie avventure, il mio punto di vista soggettivo. Esattamente come si tirano fuori le gemme, come si mettono assieme, come si sgrossano, come si perdono. Chi ci lavora non può non estrarne storie. Sembrano insignificanti, proviamo. Forse non lo sono. La narrazione sarà personale, va bene. Scagliamo le pietre nello stagno e vediamo cosa succede. Il primo blog non lo dimenticherò mai. Mi venne come al solito come in sogno nei miei venti minuti di jogging. Era la storia di due opali che comprai. Uno era un fossile che acquistai per caso e che persi per incuria. Un bel pezzo, una conchiglia da almeno tremila euro. L’altro era poco più di un sasso che divenne, con mia sorpresa, una vela nel gioiello di un cliente. Scrissi di getto. Rilessi. Mi meravigliai. Era un piccolo racconto, c’erano ritratti, ambienti. Lo avevo scritto io? Anche in questo caso non pretendo di giudicare. Sarà pure una pagina modesta. Ma m’era piaciuto un sacco scriverla! Dietro il gioco di colore degli opali, c’era la vita. Ci trovai del movimento. Si percepiva un viaggio, si intravedevano le emozioni, la voglia, il buio, un senso cupo ma anche di entusiasmo. Non importa il valore di quello che stava scritto. Importa che avevo trovato una strada, la mia strada narrativa o se vogliamo il Logos. Quel filo cioè che rivitalizza le pietre, rigenera i legami atomici dal rigor mortis dei puri dati quantitativi e le riannoda al mondo delle relazioni umane. Il logos delle gemme non potrà mai fare a meno delle emozioni Rilessi mille volte. Fino ad odiare quel mio primo blog. Era troppo? Era troppo poco? Partimmo. Col tempo Giovanni mi spingeva a ridurre i paragrafi. Grande lezione, togliere ma senza diminuire le faccette, il brusio dei negozi o il rumore delle botteghe, il sapore orafo. Va beh, è andata. Ora sono passati otto anni. Preziosa Magazine è leader. Il Direttore ha fatto ancora di più. Ha lanciato un proprio canale video, è in TV, è nel ramo bijou, promuove l’occupazione, ha fatto inchieste eccellenti. I tempi della comunicazione cambiano in fretta e i blog su Preziosa non ci sono più. E allora posso rileggerli senza condizionamenti, i miei e quegli degli altri. La verità? Per me restano interessanti. Ma la cosa più bella di tutto è che, piaccia o no lo stile, risfogliandoli sullo sfondo si vedono i cambiamenti sociali. Si leggono le evoluzioni della tecnica, il passaggio di cultura dalla bottega all’impresa, il prosciugarsi ed il rinvigorirsi dell’ispirazione, il conformismo, la piattezza e l’audacia dei tagli, la riluttanza o la propensione all’innovazione, l’emergere di player minerari monopolisti, la decadenza e la ristrutturazione dei modelli fieristici, il precariato dei giovani orafi. Tutti questi temi mi sembrano ancora dannatamente attuali. Sono grato al Direttore Micera ed a tutto il gruppo del Magazine. Preziosa è diventato un polo informativo catalizzatore di quello che oggi si chiama fashion. Ha ridefinito il concetto di gioiello e ne ha innovato l’immagine. E tutto questo nasce a Napoli, possiamo esserne orgogliosi? Dopo il primo, possano arriderle ancora altri decenni di crescita! Quello che resta a me è quella spinta iniziale, quell’impulso a vedere il mondo dietro le pietre, i giochi di potere dietro la facciata, la profondità investigativa che non può non essere ricerca chimica e fisica sistematica col conforto delle scienze sociali. Le parole di pietra, come le ha definite il Direttore, sono i sassi che il rigore dell’approfondimento lancia nel conformismo piatto degli stagni, il Sunset Boulevard della Grande Bellezza, il dormiente risvegliato che poggia uno sguardo sereno sulla meraviglia. L'opale perso e l'opale ritrovato di Paolo Minieri (testo integrale da Preziosa Magazine) Ogni volta che suono il campanello del mio tagliatore cinese di opale credo che mi rispondano che è morto. Mi sono fissato, m’è successo anche tre settimane fa. “Ecco – penso – ora viene la segretaria e mi dice della disgrazia”. Poi lo scorgo: si tratta d’un omino d’età imprecisata, ma certo non giovane, un po’ curvo, pallido e sempre silenzioso. Non conosce l’inglese, mi sillaba in cantonese e io rispondo in italiano. Le sue movenze lente m’appaiono ispirate ad una solenne e tutta orientale modalità di risparmio energetico. Due anni fa, poi, era così debole e magro a causa del clima a gennaio insolitamente freddo che mi andai convincendo (sono le convinzioni del viaggiatore d’affari causate un po’ dall’istinto ingannato dal jet-lag e un po’ dalla solitudine) che quello sarebbe stato l’ultimo opale che mi vendeva. Feci dunque il mio lavoro in una rispettosa e immaginaria atmosfera sepolcrale; mentre le gemme mi scivolavano dalle mani e le migliori si depositavano come per incanto al mio lato, vibravano meste le note cupe d’un requiem d’addio nel buio del laboratorio. Ma in questa scena malinconica a suggestionarmi si mise pure l’opale. Il suo gioco di colore mi rinfocolò in un attimo la fiamma della gioia di vivere (ma in realtà il tagliatore cinese aveva solo la tosse): ad ogni inclinazione della mia mano come non mai sfavillavano i suoi infiniti arcobaleni, tutti astri luminosi nella penombra cinese. Solo il poeta napoletano Raffaele Viviani, allo stato delle mie conoscenze, rende, in versi però ispirati alla luce del sole che illumina la donna amata, il gioco di colore dell’opale (“vedarrissi migliare ‘e culure, mo’ russe, mo’ verdi, mò lilla, mo’ gialle”). Venne servito il tè, poi passammo a tagliare e lucidare. Sempre ritocco i pezzi per fare coppie, parure, forme speciali. In effetti è qui che viene il divertente: manipolare le gemme a modo proprio, adattarle ai mercati di riferimento, ridisegnarle. Il vecchio non mi contrariava, anche quando le mie idee gli sembravano pura follia, quando magari violavo, a vantaggio delle forme, le regole millenarie della massima resa del grezzo. Era come se il taglio della gemma lo resuscitasse ai miei occhi. Volli tuttavia comprare (a futura memoria) due pezzi strani senza praticare modifiche e ritagli. Una suggestiva spirale opalizzata e un bizzarro pezzo storto, vagamente triangolare. Li aveva visti così e così il vecchio saggio li aveva lasciati, una lucidatina e via. Del resto l’opale ha una struttura amorfa e si presenta spesso in forme grezze insolite. Visto che nella mia allucinata visione il tagliatore sarebbe presto passato a miglior vita, tanto valeva accaparrarsi qualcosa di veramente suo. Spiego queste cose al solo scopo di testimoniare che questi due pezzi non li avrei acquisiti in una razionale seduta di lavoro, li comprai invece sotto gli influssi di un fenomeno di autosuggestione. Vi sembrerà strano ma gli italiani non amano gli opali storti o insoliti. La caratteristica spirale si rivelò essere un raro fossile. Facemmo giusto in tempo a fotografarlo che – destino atroce e me tapino – andò perduta durante le pulizie del mio ufficio. Lasciate che io stenda un velo pietoso su tale imperdonabile disattenzione. Del pezzo storto mi dimenticai, come ci si dimentica di tante cose quando un evento luttuoso (la dipartita inaspettata di un pezzo da museo) ci accade a bruciapelo. Altre visite al laboratorio dell’opale, anche recenti, mi hanno confermato in vita l’inconsapevole tagliatore (che parti del corpo si toccheranno mai i cinesi per fare gli scongiuri?); altro opale abbiamo progettato e lavorato. Poi, circa due settimane fa, sono andato a incontrare un amico-cliente che non vedevo da tanto. Era solo un saluto. Lui era dietro la scrivania ad armeggiare con un oggetto sul disegno di una barca. “Tu non c’eri – mi dice – ma l’ho comprato al tuo stand a Vicenza”. E quello che risorgeva alla mia attenzione era l’opale storto che la fantasia del mio amico stava trasformando nella vela di una nave d’oro. Tutto l’opale geometrico che io vendo immediatamente lo dimentico presto ma l’opale storto no, aveva questa storia da raccontare. |
Archivi
Settembre 2019
|