La gemmologia a volte ha un andamento capriccioso. Alcuni argomenti entrano fulmineamente nelle hit, mentre altri restano sullo sfondo a lungo per riemergere poi tutt’a un tratto. Rileggendo un po’ i miei appunti, noto che è passato un decennio da quando ho cominciato ad interessarmi di corallo e devo dire che se è vero che se ne parla più di prima, le ragioni ci sono. Corallo sotto inchiesta, un articolo del 2010 per Preziosa Magazine Per me ed i miei colleghi i riflettori si accesero un po’ di tempo fa. A dicembre 2009 con Alberto Scarani curai un’inchiesta per Preziosa Magazine. Era un momento critico per l’industria torrese. Aleggiava la plumbea minaccia che tutte le tipologie di corallo entrassero nell’Appendice del Cites, la convenzione internazionale che restringe il commercio di flora e fauna in via di estinzione. Nell’occasione ebbi modo di intervistare Mauro Ascione, di nobile famiglia artigiana torrese, oltreché battagliero difensore della causa del corallo nostrano. Mauro mi offrì una collaborazione completa ed esauriente, per la quale non stancherò mai di provare gratitudine. Grazie a Mauro ed Alberto il pezzo fu ben accolto e discretamente letto. In effetti la storia era alquanto ricca di spunti che mi sorprendevano: vi si rappresentavano le ragioni dei due schieramenti, un fronte ambientalista, spalleggiato nientedimeno che da Tiffany, contro un manipolo di operatori di Torre del Greco. Le parole di Mauro Ascione andarono diritto al punto: “Tiffany afferma cose inesatte, fa strumentalmente una gran confusione tra madrepore australi e Corallium mediterraneo e di fatto con 700mila dollari finanzia non già la protezione delle barriere coralline ma la messa al bando dell’industria del corallo torrese”. Insomma alcune lobby spingevano per una causa protezionista che in breve si rivelò drogata da dati inesatti ed ispirata da un certo interesse di parte, una sorta di marketing al contrario. Bandire il corallo equivaleva a conferire una medaglia ai gioiellieri che lo eliminavano dalle vetrine in qualità di paladini della sostenibilità, un bel premio etico sulla pelle di migliaia di produttori e commercianti onesti. La cosa che mi sembrò subito chiara era che la campagna era tutta basata sulla disinformazione. Fu infatti una fonte statunitense, autorevole ed insospettabile, ma molto partigiana a favore delle restrizioni del commercio di corallo prezioso, ad attirare l’attenzione di Luigi Costantini, allora direttore dei corsi dell’IGI, International Gemological Institute. Mi chiese un parere per scriverne nella sua rubrica sull’Orafo Italiano. Approfittai della disponibilità di Mauro Ascione e nel centro Oromare ci incontrammo per chiarire i termini di questa fuorviante manipolazione dei dati, della conseguente confusone tra la tassonomia di madrepore e coralli preziosi. Fu in quell’occasione che a noi tre venne l’idea di un corso sul corallo, qualcosa di più approfondito dei cenni di carattere generale che vengono offerti nella sezione gemme organiche. I semi gettati dall’inchiesta che avevamo fatto stavano germogliando e ci rendemmo conto della complessità del compito, che sarebbe stato proibitivo senza l’appoggio di chi lavora la gemma. La sostenibilità ambientale, la legittimità della raccolta, la responsabilità della catena di fornitura, l’identificazione, la metodologia che doveva essere condivisa per tornare utile alla valutazione... Un bel po’ di lavoro. Un corso sul corallo? Un eldorado multidisciplinare Da Anversa era arrivato il segnale verde. Un programma di studio sul corallo, esportato in varie lingue in tutte le sedi formative IGI (International Gemological Institute) avrebbe potuto essere innanzitutto interessante, ma anche di immediato giovamento al tessuto produttivo campano, in un momento nel quale all’export si richiedeva di affiancare una più profonda cultura di prodotto. Otto anni fa, per l’appunto, questa gemma era ai margini dell’indagine gemmologica. Luigi Costantini, nonostante i miei molto relativi meriti, volle darmi il compito di impostare la struttura di questo corso. Da napoletano avrei avuto migliori possibilità di relazionarmi con i produttori torresi, senza i quali non si sarebbe potuto scrivere alcunché. L’identità corallo-Torre del Greco è un fattore molto caratterizzante, ma conosco bene quella città, vi passai molti mesi dell’infanzia e dell’adolescenza. Molti imprenditori della preziosa risorsa mi incoraggiarono. Il corallo è un esoscheletro di animaletti per le cui adeguate condizioni di sopravvivenza siamo tutti in apprensione. Occorre confrontarsi con una bella quantità di lavori di biologi marini e di zoologi. Per fortuna il ripopolamento dei banchi ed il loro stato di salute hanno una ricca letteratura e sono ben monitorati e documentati. Tra l’altro Napoli era stata sede nel 2009 di un Workshop sul corallo con una gran mole di contributi scientifici a sostegno della valutazione della sostenibilità. La storia sull’uso, sulla raccolta, sugli scambi del corallo? Un luna park di suggestioni, tracce, connessioni. Perché col corallo si può andare da qualunque parte. C’è lavoro per archeologi, nelle tombe di Catalhoiuk in Turchia dove nascevano le prime città 6000 anni fa c’era già corallo. E col corallo gli storici navigano in lungo e il largo per il Mediterraneo, da Tabarka a Marsiglia. Il corallo, nel circuito della civiltà europea cristiana segava come un cuneo la faglia del Nordafrica musulmano e gettava ponti relazionali tra mondi apparentemente chiusi in compartimenti stagni. Avessero avuto più tempo per il corallo, storici come Braudel ci sarebbero andati a nozze. Qualcosa che passa tutte le frontiere è un patrimonio per tutti gli studiosi di scienze umane. Mi chiesi: perché se ne parla così poco? Gli usi apotropaici del corallo, poi, sono una miniera per antropologi ed etnologi. Il mito della Medusa ancora risuona, con richiamo lirico, negli studi classici. Per uno come me, per il quale la gemmologia è arte di incontro e cerniera tra molti approcci, tutti questi temi furono fuochi d’artificio mirabilmente esposti da Caterina Ascione alla serata inaugurale del Ciges, il Congresso di Gemmologia Scientifica organizzato dalla Facoltà di Mineralogia e gestito da Gem-Tech a Napoli nel settembre 2013. La Professoressa Maria Rosaria Ghiara, che ci ospitava, dovette rassegnarsi: i mineralogisti incoronavano come rappresentante dell’Italia non uno degli stupefacenti vecchi minerali a loro cari ed esposti con cura in quel gioiello che è il Museo di Mineralogia di Napoli. Il simbolo che ci rappresenta non poteva essere che il corallo, una gemma organica. Il Coral Blue Book del CIBJO regola terminologia e trattamenti... I vari tasselli del mosaico componevano un quadro scientifico variegato e stimolante. Studi ambientali, biologici, sociali sembravano combinarsi. Eppure c’era da fare i conti con la realtà: nel senso più squisitamente gemmologico il corallo non ha un’estesa letteratura. I due grandi classici di Tescione e Liverino sono due testi molti ricchi e, per alcuni versi, ancora molto utili. Ma per la pratica effettiva dell’identificazione i contributi sono limitati. Anche i trattamenti migliorativi facevano registrare una certa carenza di indicazioni precise. Ceratura, stuccatura, rivestimenti. Si sapeva in cosa consistessero, OK, ma come considerarli ai fini di una corretta rivelazione? Il 7 ottobre 2015 è una data da ricordare. Le cose infatti cambiamo con la pubblicazione del Coral Blue Book. Si tratta di un’iniziativa del CIBJO, la Confederazione mondiale dei gioiellieri, un organismo rappresentativo assai autorevole nel campo normativo e della regolamentazione. Al testo si affianca una Commissione per il corallo, presieduta dall’esperto torrese Enzo Liverino e dal noto gemmologo portoghese Rui Galopim de Carvalho. Questi passi danno uno straordinario impulso agli studi sul corallo, capace di porre fine allo stato di stallo che di fatto paralizzava la riflessione e l’elaborazione gemmologica. Ma il difficile viene adesso In quel periodo lascio il pallino a Francesco Sequino, docente IGI (International Gemological Institute), che intraprende la revisione e la rielaborazione della sezione delle rilevazioni strumentali del nascente corso che stiamo mettendo a punto. Il nostro slancio entusiastico iniziale si raffredda. Francesco per la verità s’è dato un gran da fare ed ha preso contatti con vari ricercatori della Federico II. Con l’aiuto dell’inesauribile Alberto Scarani sono stati inviati in giro per il mondo coralli di varie specie ma i risultati sono sempre gli stessi e confermano sostanzialmente le conclusioni prevalenti contenuti in due studi pubblicati su Gems and Gemology e ribaditi da uno studio del Cisgem presentato al Ciges di Firenze del 2012. Cioè né né EDX, XRF, Raman o FTIR riescono ad individuare le varie specie. Gli spettri Raman separano invece efficacemente il corallo non trattato da quello riempito con resine epossidiche ed il Corallium da generi simili come il Bamboo Coral (famiglia, Isididae). Alla luce di questi dati Francesco è riuscito ad allineare i trattamenti con riempienti alla classificazione ed alla terminologia suggerita da CIBJO. Qualcosa si può dunque fare, perché ora c’è un riferimento normativo. Con un buon corredo di foto la Rivista Italiana di Gemmologia (IGR) nel settembre 2017 offre un contributo che credo sia stato apprezzato dagli operatori. Eravamo partiti anche se la strada che resta da percorrere è tanta ed impervia. Lo stesso Coral Book - come chiarito alla sua presentazione - evidenzia una certa prudenza e sembra giustamente collocarsi come un work in progress, un testo in evoluzione. Aspettando Blockchain e DNA. Gli ultimi sviluppi... Alla relativa calma dei primi tempi, negli ultimi anni s’è sostituita un’attività febbrile da parte dei soggetti rappresentativi. Assocoral ha fatto partire il percorso per rendere il corallo patrimonio dell’Unesco, ha intrapreso una robusta serie di iniziative di promozione ed ha collaborato al decreto ministeriale che disciplina i vari aspetti della raccolta del Corallium Rubrum sul territorio italiano. CIBJO nel gennaio di quest’anno, in un ricco seminario dedicato al corallo, ha fatto il punto delle proprie iniziative nel campo della sostenibilità, degli studi scientifici, della formazione. Due sono gli aspetti più affascinanti, emersi in quel seminario di Vicenza, che denotano quanto la Commissione CIBJO si sia spinta in avanti. Ha avviato, in collaborazione col Prof. Vona dell’Università Federico II di Napoli, studi per attivare una Blockchain sul corallo. Beh, questa è una notizia che da sola basterebbe a spiegare perché si parla tanto di corallo. Un registro crittografato digitale infatti potrebbe, oltre che garantire la legittimità di una catena di fornitura per forza di cose fragile e delicata, anche consolidare il valore del corallo e dei gioielli in corallo. Si veda l’esempio dei diamanti. Ma l’altro aspetto è ancora più interessante. È stato annunciato un protocollo di identificazione delle specie tramite un test molecolare basato sul DNA. Il lavoro è stato portato avanti dai biologi marini della Federico II di Napoli in collaborazione il Danat del Bahrein, presieduto da K. Scarratt, una delle più eminenti personalità gemmologiche contemporanee. L’Istituto Gemmologico Italiano partecipa al progetto e gli altri istituti sono stati incoraggiati a prendervi parte. Quando il protocollo sarà reso pubblico ne sapremo di più e se ne valuterà l’impatto sull’industria nonché le modalità per la sua applicazione. La gemmologia è un cantiere aperto che richiede confronto e condivisione Insomma, tutto fa pensare che di studi sul corallo si parlerà ancora e molto. L’International Gemological Institute sul tema sta dialogando con altri prestigiosi istituti italiani quali il Cisgem. La stessa Commissione CIBJO Corallo ha già annunciato il lancio di un corso online e precisa che “fornisce assistenza agli istituti formativi gemmologici per introdurre moduli sul corallo nei propri programmi regolari di studio”. Di certo sappiamo che siamo in ottima compagnia, s’è formata una variegata comunità internazionale di soggetti interessati a studiare il corallo in gemmologia e questo è sempre un fattore positivo. Un paio d’anni fa con Alberto ebbi modo di approfittare della gentilezza di Lucia Collaro per visitare la loro eccellente collezione di coralli al Tarì insieme a Claire Mitchell ed Eric Fritz del Gem-A. Anche da parte loro riscontrai interesse a mettere assieme dati ed esperienze. Quando il 28 maggio finalmente abbiamo presentato il nostro corso si percepiva un’atmosfera di attesa e di profonda partecipazione. Ci sono state molte domande dal pubblico. Mi sono reso conto che gli orafi ed i gioiellieri in fine dei conti non aspirano a test sofisticati, ma a conoscenze più generali ma corrette e soprattutto applicabili nell’esperienza quotidiana. Io penso che ogni studio scientifico è sempre un cantiere aperto e che, allo stadio attuale, il corallo ha più bisogno di diventare oggetto di confronto e di approcci multidisciplinari che di silenzio. A volte riaffiora un certo scetticismo corporativo del tipo: non riveliamo i nostri segreti, non spieghiamo troppo, etc. Questo è un retaggio del passato che nel nuovo millennio non trova posto. Perché si parla tanto di corallo? No, la domanda corretta è: perché se ne parlava così poco? |
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Settembre 2019
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