Riassunto della precedente puntata. Dopo un secolo vissuto più o meno come star ed arbitro della nuova ricchezza urbana il commerciante orafo vede sbiadire il suo rango sociale quando si affermano le nuove professioni borghesi. Il boom del secondo dopoguerra impone nuovi modelli industriali e si sviluppa la grande distribuzione. I commercianti al dettaglio non sono più autorevoli come lo erano stati prima. Che percezione si ha dunque oggi del gioielliere? Vediamo subito i luoghi comuni che hanno a che vedere con l'immagine stereotipata abbastanza negativa che spesso emerge quando la gente comune pensa al gioielliere. Lista di luoghi comuni. Se siete gioiellieri vi avranno forse detto che: 1. Lavorare con metalli e gemme preziose è un indicatore universale di aziende con utili superiori alla media. Questa è una percezione diffusa e persistente. Ma infondata. Ciò equivale infatti a dire che un cambiavalute è ricco per il solo fatto di maneggiare banconote e non per i ricavi che ottiene dalla quantità delle transazioni. E invece, con il decremento complessivo dei consumi in generale e di quelli di gioielli in particolare, il comparto orafo è tra quelli che ha sofferto di più. Allora i soldi che puoi fare con la monnezza contano meno perché puzzano di discarica? L'oltraggio vergognoso semmai sta nel traffico illecito non nella pratica dello smaltimento in sé (che può generare ricavi consistenti, del tutto legittimi). 2. I gioiellieri sono stati collusi col sistema della corruzione. Nel contesto storico della cosiddetta prima Repubblica molte delle famigerate dazioni che nelle indagini della magistratura costituivano prova del circuito delle tangenti erano pagate con sistemi non convenzionali, ad esempio pezzi di alta gioielleria o orologeria. Ma non vi era certo l'obbligo tra i negozianti di accertare la destinazione d'uso o le finalità d'acquisto dei beni che taluni soggetti compravano per fini di contabilità parallele o per reati di corruzione. 3. I gioiellieri sono più impegnati a nascondere reddito che a produrlo. Non è che si voglia negare che in Italia esistano redditi che sfuggono all'imposizione fiscale. I gioiellieri sono sempre evocati come esempio spicciolo di categoria che nascondo reddito. Ma il punto con i gioiellieri è: sono loro i campioni incontrastati dell'evasione fiscale? Per alcuni pare di sì al punto che molti media decretano la colpevolezza della categoria senza appello. Ma a leggere bene i dati si ha l'impressione che sia in atto una campagna denigratoria basata su una interpretazione sommaria, se non volutamente arbitraria. Ad esempio tra i lavoratori dipendenti che scandalosamente percepiscono più reddito dei gioiellieri vi sono conteggiati anche i magistrati. Sono entrambi lavoratori dipendenti. Ma il reddito di un magistrato, se sommato a quello di un fattorino fa salire la media delle entrate della categoria dei lavoratori dipendenti. Le statistiche dovrebbero riferirsi ad insiemi omogenei. Se no risulta che mangio mezzo pollo pure se resto digiuno. Non si prende in considerazione la natura societaria delle imprese orafe che spesso vedono il reddito spalmato tra coniugi o familiari. Non si calcola l'abbattimento dello scontrino medio della gioielleria causato da prodotti moda non costituiti da metalli o pietre preziose. L'elenco potrebbe continuare. Non è che serviva un mostro da sbattere in prima pagina? 4. I gioiellieri sono stati responsabili di fenomeni di elusione fiscale per il riacquisto di metalli ed oggetti preziosi. La diffusione del fenomeno dei cosiddetti "compro oro" ha introdotto un canale nuovo di raccolta e distolto il drenaggio delle quantità di metallo prezioso dal fisiologico riacquisto e della ricollocazione nel mercato. Questo è stato un compito che le oreficerie hanno storicamente svolto con competenza. La lunga carenza legislativa non ha che danneggiato il circuito di riacquisto dai privati che il comparto gestiva da sempre sotto vincoli di controllo. Il tutto a vantaggio di soggetti con requisiti professionali spesso molto scadenti. Non si può generalizzare, ma forse il negozio classico, cioè una gioielleria seria che tra le tante attività e proposte accetta anche oggetti desueti in pagamento, è parte lesa più che parte coinvolta. 5. I gioiellieri sono eticamente irresponsabili (noncuranti della catena di fornitura). D'accordo, oggi bisogna dare conto della adeguatezza delle fasi di estrazione mineraria. Occorre rilevare che i metalli e le gemme che sono nello stock dei negozi non abbiano alimentato abusi sui minori, sfruttamento o lesioni dei diritti delle popolazioni coinvolte, conflitti territoriali. Tutti questi compiti virtuosi richiedono competenze tecniche, accordi sovranazionali, codici condivisi, procedure complesse. E le dovrebbero inventare i gioiellieri da soli? O forse si dovrebbero attivare prime di loro le organizzazioni internazionali, i governi e le autorità competenti? Se queste non si muovono che ci possono fare dei pur bravi artigiani e/o commercianti? 6. I gioiellieri non rilevano correttamente le qualità dei metalli e delle gemme che vendono (noncuranti dei diritti dei consumatori). E allora le banche? E perché mai un'accusa del genere deve avere per target i gioiellieri più di tanti altri lavoratori che non conoscono le regole delle proprie professioni? Nel vendere diamanti un gioielliere forse non arriverà a descrivere le deformazioni plastiche del reticolo cristallino. Ma una corretta descrizione della qualità e della valutazione (le cose che contano per essere competenti nel commercio) è in grado di darla nella stragrande maggioranza dei casi. Che dire invece delle banche e delle agenzie loro alleare che irrorano il consumatore di diamanti a prezzi fuori mercato? Chi è più e chi è meno "etico"? Epilogo. Media, comunicazione, dati estratti maldestramente da statistiche sono elementi che possono manipolare il sentire comune verso una determinata categoria. Nel caso del gioielliere questo fattore ha determinato certamente (e ingiustamente) un calo di simpatie da parte dell'opinione pubblica. E' il momento di riscattare i lati positivi, la passione per la creatività e per il bello, in una parola l'orgoglio di essere orafi, cioè una parte importante della capacità culturale tutta italiana di saper diffondere il gusto per la creatività e per l'unicità. E questo merita un altro post. Paolo Minieri |
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Settembre 2019
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