Apparizione di un fantasma. Un orafo fonde metallo e monta minerali cristallizzati da fusioni vulcaniche. Eccolo Andy Warhol. È già qui, si siede di fronte, ti guarda, lo guardi. Ha messo le cose in modo tale che è come tuffarsi con una lattina di Pepsi (o di Campbell) nel cratere del Vesuvio in piena esplosione piroclastica. O con un Rolex in un altoforno. Un grande artista, se ti guarda, è perché è arrivato sempre alle estreme conseguenze del suo pensiero. E il suo è stato un pensiero plastico, da modellatore di forme quotidiane. Per vedere te alle prese col suo andare oltre. Nel suo periodo napoletano s'è manifestato un Andy Warhol un po' inaspettato. Un Vesuvio pop ne diventa il segno. Proprio qui da noi questo straordinario esponente della Pop Art si è come stancato di insistere su quelle devastanti scatolette elevate al rango di icone dell'immaginario dell'uomo contemporaneo, che è nient'altro che un consumatore. Per Warhol una Coca Cola, un anello Bulgari equivalgono ad una Marilyn Monroe: sono tutte celebrità mercificate da proiettare in infinite caleidoscopiche combinazioni. Ma a Napoli la sua ispirazione si arricchisce, non più congelata in quei segni effimeri, fattisi ormai riconoscibili e liturgici, dell'ipertrofia dell'immagine/merce. Qui da noi, secondo me, s'è messo a parlare del processo creativo. Lo interessava soprattutto un vulcano destinato ancora una volta ad essere declinato nelle reiterazioni della sua incredibile tavolozza. ''Ritengo - ha detto l'artista - che il Vesuvio sia molto di più di un grande mito, è una cosa terribilmente reale..., un pezzo di scultura". Stava parlando a tutti della trasformazione della materia. Una cosa che l'orafo e lo scultore condividono col Vesuvio. A Napoli Warhol in una certa maniera comincia a trovare un po' ingrigito il vecchio focus sul "prodotto" sublimato in oggetto d'arte. Perché qui scopre il vulcano, "un produttore", un laboratorio naturale di materia, esso stesso un'icona della contemporaneità. L'arte migliore - aveva detto a New York - è quella del saper far soldi, perché il danaro muove e condiziona la fruizione delle immagini. E dopo? Dopo, a Napoli, una nuova poetica fatta da questi inquietanti Vesuvii, recuperati come simboli di un ennesimo confronto di cui Warhol dovette sentire nel golfo acuto bisogno. Un corto circuito cioè tra la Natura creatrice (il vulcanesimo, la condizione morfologica della crosta terrestre, i minerali e le gemme) e le Culture umane ramificate in mille rivoli che guardano se stesse e si ripetono all'infinito ("Adoro Los Angeles e amo Hollywood, sono entrambe fantastiche e tutto li è di plastica. Ma io amo la plastica, voglio essere di plastica."). Napoli invece riporta Warhol alla sua città Musa : "Mi ricorda New York, specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada. Ma anche per l’energia che ribolle dovunque, in ogni angolo della città". La massificazione cambia gli occhi e il palato del mondo? E sia, è storia. Mille vulcani alimenteranno l'inarrestabile, inevitabile fusione creatrice realizzata, in ordine di potenza, dai cristalli, dagli artisti e dagli artigiani. Perbacco, se lo avessi potuto beccare oggi a Napoli gli avrei mostrato diamanti e rubini sintetici. Li avrebbe fotografati sul Vesuvio. Paolo Minieri |
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Settembre 2019
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