Si conclude il corso di infilatura GemTech per il Consorzio Borgo Orefici di Napoli. A completamento dell'offerta formativa che spazia dai corsi di oreficeria, modellistica e disegno al CAD, GemTech sta terminando i corsi per i ragazzi iscritti presso il Consorzio Borgo Orefici per completare e migliorare le proprie capacità nel campo orafo. Per quest'anno si è pensato di incrementare le capacità creative a coronamento delle nozioni di gemmologia attraverso un corso pratico di composizione e di infilatura. Le lezioni, tenute dal personale GemTech, hanno ottenuto un ottimo risultato sia per quanto riguarda le combinazioni artistiche, che per le capacità tecniche. In queste foto riportiamo alcuni esempi degli ottimi manufatti realizzati dagli studenti. E' possibile constatare la ricchezza delle tecniche apprese, tra le quali spicca la tradizionale composizione a tessitura di questo bracciale che combina ottimamente onici e coralli. Tra i tanti tentativi di farci fessi trovate pure falsi smeraldi che imitano i cristalli nativi8/2/2018 Le gemme, da sempre, suscitano emozioni collegate al mistero, all'avventura e perché no alla bramosia. Chi da bambino non ha sognato di trovare l'isola del tesoro o di approdare in terre rigogliose di vegetazione e imbattersi in ritrovamenti minerari di inestimabile valore? Ebbene questo spirito salgariano spesso eccede fino ad oscurare la parte razionale di alcune persone che, incoraggiate dal trovarsi in luoghi esotici, si lasciano trasportare dall'istinto e tentano la fortuna acquistando gemme o simil tali, che, nelle migliori delle situazioni, sono ottenute a prezzi molto più alti rispetto a quanto di pagherebbe vicino casa da una persona esperta e di fiducia. Se poi si è più sfortunati, non va escluso che ci si possa ritrovare vittime di qualche truffa e di portarsi a casa il cosiddetto "mattone" senza alcun valore. Sconsigliare di acquistare senza le dovute conoscenze è inchiostro sprecato. Una volta che parte il meccanismo "dell'acquisto della vita" non lo si può frenare. Il miglior modo di dissuadere o di prendere le dovute precauzioni secondo me è quello di comunicare le esperienze negative di altri poveri ignari malcapitati, con la piccola speranza che si possa evitare che la storia si ripeti... Dopo aver parlato di corindoni sintetici venduti in Egitto per Alessandriti, di vetro hi-tech venduto in Turchia per Zultanite, di vetro azzurro spacciato per Acquamarina in Brasile, è la volta di prendere in considerazione non più le pietre tagliate, bensì le gemme grezze. Ebbene sì, i turisti fai da te stanno sempre più sperimentando l'acquisto di cristalli integri appena estratti dalle viscere di nostra madre Terra. Bello, giusto, condivisibile. Se si deve saltare qualche passaggio di mano perché non spingersi alle origini, alla fonte delle gemme? Perché non saltare la filiera, azzerando le intermediazioni? Dal produttore, in questo caso dal minatore, al consumatore. Risultato? Cominciamo con questo: il GIA riporta di topazi incolori levigati ad arte per imitare l'abito cristallino ottaedrico tipico dei diamanti e venduti per tali. Naturalmente avevano passato la prova "schiacciante" della bilancia idrostatica e, ovviamente, il semaforo verde aveva frettolosamente spalancato la strada al furbo mercante improvvisato che si era fatto pure geologo. Peccato che topazi e diamanti abbiano quasi la stessa densità. Ma che importa, l'emozione varrà pure qualche spiccioletto. Comprare materiale grezzo è tanto rischioso quanto comprare pietre tagliate. Ma chissà poi perché, quando vediamo cristalli non lavorati scatta il riflesso condizionato della presunzione di autenticità. Quasi come se gli esseri umani non avessero facoltà ed abilità per contraffare oggetti finiti e oggetto allo stato naturale. Ed ecco allora l’ultima novità dei nostri amici "venditori di sogni", sempre alla ricerca di nuove sperimentazioni per ingolosire gli acquirenti anche più preparati. Come si fa? Semplice: si incollano pezzi di vetro colorati, sapientemente sagomati in modo da simulare il sistema cristallino della pietra da imitare, nella roccia in cui è tipico ritrovare la gemma. Recentemente un ottimo esempio. È stato analizzato dal laboratorio GJEPC in India una roccia ricca di Mica, un minerale che spesso si abbina al berillo, con dei vetri incollato al centro (vedi foto). Tali vetri erano però stati tagliati per riprodurre fedelmente l’abito cristallino esagonale dello smeraldo. Il tutto in modo da rendere la truffa un piccolo capolavoro grazie alle inaspettate competenze gemmologiche degli impostori. Il povero Totò che vendeva la fontana di Trevi al turista italoamericano gli garantiva d’esserne il proprietario mostrandogli dal vivo come la gente gli riconoscesse il pagamento dei diritti fotografici. Ma nella realtà chiedeva sottovoce contributi per la Croce Rossa. I professionisti del settore "pacchi e contropacchi", nel costruire le proprie false prove di autenticità, in effetti non fanno che continuare ad usare la tecnica del mitico attore napoletano. Iscrizioni laser false su diamanti HPHT. Va beh, ma se ci basavamo su quelle, buonanotte!20/11/2017 di Paolo Minieri Grande rumore sui tg gemmologici la settimana scorsa. È stato identificato dal GIA un diamante sintetico HPHT con un’iscrizione laser riferita ad un suo proprio certificato. Qualche riflessione è il caso di farla. Questo genere di notizie si propaga con rapidità nel web e rischia di diventare allarmante, al di là d’ogni buon senso, in quanto la rete le veicola sugli schermi di un pubblico vasto che non ha magari i giusti strumenti per inquadrarle. E a quanto pare, anche i gioiellieri sembrano in imbarazzo. Step 1. Un giretto su Google Come primo passo digitiamo su Google “fake laser inscription gia diamonds”. C’è di tutto, a partire dal 2005. Nulla di nuovo. Dunque non ci si trova al cospetto d’alcuna inedita diavoleria uscita dal cappello degli inganni di un illusionista. Da tempo le iscrizioni laser, che recano i numeri seriali dei certificati dei principali istituti, sono imitate ed apposte truffaldinamente su pietre diverse dalle originali, simili solo nella massa (peso) ma inferiori per caratteristiche qualitative. Questa volta il GIA nelle sue note di laboratorio ci dice di aver beccato addirittura un sintetico HPHT. Beh, gli HPHT ed i CVD sono sul mercato non da oggi, e prima o poi ciò sarebbe accaduto. Step 2. Basta un lentino È opportuno però a questo punto dare uno sguardo al tipo di iscrizione. E questo lo può fare anche un nostro ipotetico Mister X, cioè un osservatore comune e senza alcuna competenza specifica. Non c’è bisogno di qualifiche gemmologiche. Oggi la falsificazione dei marchi è parte dell’esperienza quotidiana, un po' di diffidenza è d’obbligo. Chi non ha visto Rolex falsi, bijoux o gioielli imitati con tanto di loghi contraffatti? Non è che un’iscrizione laser, per il semplice motivo di esserci, rappresenti una prova di autenticità. Basta guardare in comparazione l’originale ed il falso. Alcune facili deduzioni:
Step 3. La rimediate una bilancia di precisione? Ma mettiamo che il nostro sospettoso osservatore, non esperto in gemmologia, si fermi al lentino a 10x. Il nostro Mister X potrà fare ancora qualcosa: verificare i dati che si riferiscono al seriale inciso. Il sito GIA dà immediato accesso ad una sezione che permette di risalire a tutte le caratteristiche dei propri certificati. Se digitiamo ad esempio il numero della gemma fotografata come esempio, troveremo questo: Le informazioni sono esaurienti e possono in parte tornare utili anche ai profani. Infatti, nel riferirsi al recente caso denunciato, cioè del sintetico con iscrizione laser fasulla, avremo i seguenti dati: "untreated diamond graded as 1.74 carats, round brilliant cut, D color, Excellent cut grade and VVS1 clarity" Ma la pietra invece presenta una massa (peso) di 1,76 carati. Oggi anche Mister X, un ignaro cliente, può chiedere in gioielleria di farsi controllare la massa (peso) d’una pietra. E con questo semplice controllo l’inganno emerge immediatamente. Step 4. Un po' di gemmologia basic non guasterebbe Naturalmente, quando si analizzano tutte insieme le caratteristiche distintive che un certificato rileva, i punti discrepanti saranno tantissimi. Ad esempio, colore e purezza della pietra “originale” sono E e VVS1, mentre la sintetica con falsa iscrizione è risultata F e VS. Magari un non addetto ai lavori riuscirà a verificare solo il peso, ma un gioielliere accorto senza dubbio tenterà di farsi un’idea del colore e della purezza, alla ricerca di evidenti discrepanze. Un gioielliere di anche medie competenze gemmologiche, di fronte ad un’iscrizione sospetta, verificherebbe e ricontrollerebbe poi anche i tanti dati offerti dalle proporzioni. E senza esitazioni approderebbe alla fase d’allarme: troppe cose non coincidono tra quel che si vede e quel che si legge. Step 5. Inviare la pietra ad un laboratorio attrezzato Che poi è quel che è successo. I sospetti hanno fatto sì che il diamante fosse inviato al GIA. A Carlsbad hanno rilevato subito le discrepanze di cui sopra. E per gli specialisti sono tantissime. In pratica non ci sono quasi dati coincidenti. Poi hanno attuato il protocollo: Diamond View e FTIR. Quindi alla fine la conferma: gli spettri rilevano la presenza del boro ed evidenziano un Tipo IIA, HPHT. Conclusione Quanto accaduto e riportato dal GIA non costituisce un fatto nuovo, in sé. Ma è bene che se ne torni a parlare. Clienti ed operatori non sempre diffidano nella giusta misura, sì da controllare un’iscrizione con il lentino a 10X. E la semplice presenza di un’iscrizione non è mai una garanzia sostanziale d’autenticità. Come prassi occorre riferirsi a dei modelli di iscrizioni sicuramente autentici. Questi oggi si possono ottenere dai siti ufficiali degli istituti a cui si fa risalire sia l’iscrizione che la relativa certificazione. Allorché ci si riferisce ad un certificato è auspicabile lavorare sui siti degli istituti emittenti, e non basarsi mai solo su fotocopie, PDF o altre fonti non verificate. Se si hanno competenze tecniche sarà poi bene, in caso i dubbi permangano, controllare le caratteristiche qualitative e comparare quello che si riscontra con i dati del certificato. In ultima analisi, la risposta spetta ad un laboratorio gemmologico attrezzato, il quale rianalizzerà la gemma con iscrizione laser - come se quest’ultima non ci fosse affatto - ricorrendo alle procedure diagnostiche abituali. di Francesco Sequino Durante il mio viaggio di nozze prenotai un tour in una riserva naturalistica. Io e mia moglie eravamo gli unici europei all'interno dell'autobus che ci trasportava in questa zona incontaminata. Statunitensi in maggioranza ma anche canadesi e giapponesi completavano la spedizione. La guida, per intrattenerci durante il trasferimento, chiese a tutti noi di presentarci e destò tanta curiosità il lavoro inusuale che svolgo... il gemmologo. La guida, sorpresa positivamente dalla presenza di un esperto di pietre preziose nel gruppo, colse l'occasione al volo per annunciarci un fuori programma: la visita di una taglieria di pietre preziose. Il tour si rivelò molto scenografico. Improbabili tagliatori faccettavano alla rinfusa pezzi di grezzo di quarzo, mentre i venditori ci proponevano l'acquisto di pietre di scarso valore a prezzi vertiginosi, certamente provenienti da tutt'altra parte del mondo. Giorno sfortunato per il venditore. Aveva preparato uno show e tra tanti turisti becca proprio un gemmologo nel gruppo. Ogni step di lavorazione, che persuasivamente presentava per suscitare l'emozione di veder nascere una gemma dalla roccia, era accompagnato da un mio sorriso alquanto perplesso sulle stupidaggini ascoltate. Ad un tratto mia moglie mi fa notare che tutti i partecipanti al tour mi seguivano silenziosamente. Avevano notato il mio atteggiamento distaccato e scettico se non irriverente nei confronti dei padroni di casa e non si facevano convincere (Totò avrebbe usato un termine più appropriato: "impapocchiare"). Non versarono manco un dollaro nelle casse della taglieria. L’avventura mi costò un bel po' di acredine e l’avversione del venditore. Ma evitai un bel po’ di truffe agli ignari turisti che avrebbero principalmente comprato dei sintetici ben fatti. Brasile, Messico, Tailandia, Sri Lanka, Kenya, Egitto: sono tante le mete insidiose per i turisti fai da te che, stuzzicati dall'emozione esotica, acquistano gemme convinti di effettuare l'affare del secolo, per poi ritrovarsi tra le mani il cosiddetto fondo di bottiglia. Nella hit delle mete delle possibili truffe gemmologiche è entrata da poco tempo la Turchia, dove da un po' si rinvengono depositi di una varietà di Diasporo, la Zultanite. Si tratta di una splendida pietra con un forte pleocroismo tricroico che fornisce all'osservatore una sensazione di cangianza di colore a seconda della luce che la irradia. Tra l’altro della zultanite s’è occupata recentemente la Rivista Italiana di Gemmologia con un accattivante articolo di Michele Macrì. In cosa è possibile imbattersi, soprattutto nei tipici fotogenici e caratteristici bazar, ma anche in qualche elegante negozietto della zona più borghese di Istanbul? In un bellissimo, unico, coinvolgente, abbagliante, stratosferico VETRO. Ebbene sì, è prodotto in India con il nome di Alexite: un vetro hi-tech trasparente contenente minerali di terre rare. L'effetto di cambiamento di colore è causato da una miscela di vanadio, cromo, manganese e ferro in quantità variabili per produrre colori diversi, ognuno ha la sua ricetta. Il cambiamento di colore di questo vetro è influenzato dall'aggiunta di neodimio. Questa pietra, pardon, questo simulante molto intrigante è spesso venduto per alessandrite o per Zultanite, a seconda del paese dove è effettuata la truffa. L'Alexite artificiale mostra lo stesso stupefacente effetto di cambiamento di colore ad un costo ridicolo ed è disponibile in due differenti coppie di colorazioni, quella che varia dal verde all'arancio/bruno e la versione che spazia dal blu simile a quello della tanzanite ad un rosa intenso o rosa pesca. Mi è stata sottoposta una di queste imitazioni, frutto di uno dei soliti acquisti incauti, questa volta nella non lontana penisola anatolica. Devo anche far rilevare che l’effetto della cangianza è a prima vista accattivante. Ho visto per fortuna abbastanza grezzo e tagliato di zultanite per potermi anche insospettire per la cifra alquanto modesta che era costata tale pietra da identificare. Gli effetti cangianti della zultanite che è stata sottoposta al laboratorio. Per distinguerla basta utilizzare una strumentazione basilare, infatti l'Alexite essendo un vetro sarà monorifrangente (generalmente ha un indice di rifrazione intorno al 1.55) a differenza della Zultanite che è birifrangente con valori di rifrazione molto vicini al crisoberillo 1.75. Peso specifico ben al di sotto del 3.00 g/cm3 per il vetro (varia a seconda della miscela dei materiali usati) mentre per il diasporo si aggira sui 3.39 g/cm3. Mi direte: "solo una persona non sana di mente girerebbe per i bazar di Istanbul con una bilancia idrostatica". Avete ragione. In mancanza di strumenti gemmologici vi consiglio di osservare le faccette della corona, noterete una differenza nel lustro: molto più brillante la pietra naturale, favorita dall'alta dispersione, mentre più "vetroso" e spento il simulante. Tra l’altro, mentre preparavo queste note, ho trovato una comunicazione del GIA che già l’anno scorso avvertiva il pubblico dei gemmologi sull’apparizione di questa imitazione. Per concludere, l'unico ed eterno consiglio è: "mai farsi abbagliare dall'emozione del momento, dubitare ed usare sempre un approccio analitico e razionale". Dimenticavo: spesso le truffe esotiche sono accompagnati da pseudo-certificati che hanno lo stesso valore della carta straccia, quindi non acquistare mai se non siete sicuri delle vostre conoscenze. di Francesco Sequino Una visione d’assieme che denota ad ingrandimento non elevato la relazione tra aree infiltrate e aree libere da riempimenti. Un’analisi di quanto uno smeraldo sia percentualmente trattato con olio permette di farsi un’idea precisa della valutazione. Ciclicamente capita di ascoltare le spiegazioni tecniche o pseudotali di commercianti di pietre preziose, che rivelano in modo "garbato" i difetti o le manipolazioni delle gemme con l'intento di attenuarne l'importanza che questi interventi migliorativi hanno nella valutazione. Da ex venditore di pietre mi rendo conto, dall’altro lato, che essere "troppo" esaurienti significa suscitare sgomento, sconforto oltre che sfiducia nella pietra che si sta acquistando. Rubando un'espressione al mitico Totò verrebbe da dire: "Meglio sguazzare nell'ignoranza?" No, meglio allora essere consapevoli di quello che si sta acquistando, al di là delle frettolose rassicurazioni di chi sta vendendo. Un’attenta osservazione con un semplice lentino a 10x può spostare la nostra scelta su prodotti più affidabili la cui apparenza iniziale magari non metteva in luce quelle sgradevoli sorprese che ad occhio nudo sono meno visibili e meno piacevoli. L’ispezione degli smeraldi non è un esercizio semplice perché non si deve eccedere nel demonizzare i trattamenti che sono legittimi o nel presumere all’inverso che i riempimenti addirittura non influiscano nella valutazione. E' di dominio pubblico che lo smeraldo naturale è forse la gemma che presenta più inclusioni di qualsiasi altro tipo di pietra preziosa. Le continue interruzioni del reticolo cristallino caratterizzano lo smeraldo con fratture o crepe di diverse dimensioni che spesso affiorano in superficie. Per questo motivo, la maggior parte degli smeraldi viene trattata per migliorare la loro purezza. Questa procedura è storicamente così diffusa e praticata che è stata accettata nel commercio: la quasi totalità degli smeraldi è impregnata. Grumi di sostanze viscose che sono penetrare nelle fessurazioni. Tuttavia il riempimento con olii presenta diversi aspetti per i quali è opportuna qualche precisazione e qualche puntualizzazione da effettuare. Il trattamento tradizionale usato per lo smeraldo è costituito da olio, principalmente l'olio di cedro, un prodotto naturale, incolore e viscoso, soprattutto usato poiché ha l'indice di rifrazione molto simile a quello del Berillo, famiglia a cui appartiene lo smeraldo. Affinché l'olio penetri in profondità nelle microscopiche fratture dello smeraldo, bisogna che sia riscaldato e sottoposto ad alta pressione. In primo luogo gli smeraldi vengono puliti, di solito in un bagno acido. Quindi le gemme vengono collocate in un cilindro idraulico riscaldato con olio di cedro puro e stretto. Il calore diluisce l'olio di cedro e la pressione lo aiuta a penetrare in qualsiasi piccola crepa affiorante sulla superficie dello smeraldo. Dopo diverse ore il cilindro viene lasciato raffreddare. Le pietre vengono quindi rimosse e pulite. L'olio di cedro che è penetrato nello smeraldo ritorna allo stato liquido. L’aumento di spessore e di viscosità ne rende molto difficile la fuoriuscita senza l'ausilio ad esempio dei detergenti usati negli ultrasuoni, di calore abbastanza elevato, o solventi. L'olio tradizionale è stabile ma non permanente. L’osservazione al microscopio permette di ottenere contemporaneamente informazioni sia sull’origine naturale che sui trattamenti. Cristalli ben formati circondano una chiazza di riempiente oleoso liquido e trasparente. Per rendere il trattamento più durevole si utilizzano resine naturali ed artificiali (come Opticon), polimeri, prepolimeri epossidici. L'uso di questi nuovi riempitivi ha creato delle controversie, particolarmente nei casi in cui gli esatti costituenti del riempimento non siano stato divulgati con precisione. Per il gemmologo questo compito è assai complesso ed il microscopio costituisce ancora uno strumento fondamentale, anche se non l’unico. Alcune delle foto che pubblichiamo possono essere un ottimo esempio di quante preziose informazioni si possano ricavare da questo fondamentale strumento. Ad esempio sono rivelate molto bene aree percentualmente significative delle pietre che sono state penetrate da olio bianco, che sfugge a qualunque ispezione a minor ingrandimento. Allo stesso modo le zone brune delle infiltrazioni rivelano elevate temperature che hanno modificato, quasi bruciandolo, il materiale infiltrato. Il colore bruno svela residui sottoposti ad alta temperatura. Non va dimenticato che molti di questi particolari, che incidono fortemente sulla valutazione, non sono facilmente rilevabili ad occhio nudo. Ottenere informazioni precise sull’esatta composizione dei materiali riempienti non è un’operazione semplice. Io piuttosto suggerisco di concentrare l’osservazione sulle superfici riempite mettendole in relazione con la superficie totale della gemma. Aree estese di oliatura sono sempre un elemento che deve essere considerato un fattore riducente del valore, a prescindere dai componenti infiltrati. Attenzione: una volta trattata, la stessa pietra che si presentava assai fratturata può raggiungere un elevato livello di brillantezza ed attrattività. Molti dei casi di sopravvalutazione risiedono proprio in questa possibilità di agevolare con il riempimento con olii la migliore restituzione della luce con incremento di brillantezza. Per inciso si deve anche notare come l’indagine al microscopio ci aiuti da un lato a determinare la qualità e la quantità di agenti infiltranti e allo stesso tempo ci offra anche preziosi elementi per la determinazione della natura del berillo. Mentre si catturavano le immagini delle superfici grumose, brune o liquide che rivelano il riempimento sono rimaste imprigionate tracce assai interessanti come inclusioni bifase o la presenza di cristalli, a volte negativi. Tutti elementi diagnostici che rassicurano il gemmologo sull’origine naturale del cristallo. Elongazioni riempite da olio in presenza di cristalli, alcuni dei quali probabilmente negativi. Si notino anche bifase diagnostiche. Ovviamente quando ci vengono proposti degli smeraldi è opportuno conoscere che tipo di sostanza sia stata utilizzata, oltre che sapere la quantità di materiale presente nella pietra. Ma per questo scopo diventano indispensabili costose strumentazioni spettrofotometriche non accessibili agli operatori con minori possibilità. Ultimamente per determinare il valore di una pietra, rilevare la quantità dell'impregnante è però ancora più importante di sapere che tipo di riempimento sia stato utilizzato. Alcuni laboratori, come il GIA (Gemological Institute of America), hanno cercato di sviluppare schemi di classificazione che distinguono il miglioramento dello smeraldo come minore, moderato o significativo (emerald enhancement as minor, moderate or significant), a seconda di quante fessure superficiali sono state riempite. Non di rado l’estrazione è effettuata con esplosivi. Ciò può comportare l’evidenziarsi di fessurazioni accentuando le tipiche interruzioni di crescita dei cristalli. Materiali resinosi possono alterare significativamente la brillantezza. Alla fine del trattamento gemme molto incluse possono scalare molte posizioni per purezza e brillantezza.
Al laboratorio di GemTech due rubini calibrati, economici e misteriosi. Ecco cosa abbiamo scovato4/9/2017 di Francesco Sequino Analizzare un corindone per determinarne origine ed identificare gli eventuali trattamenti è spesso complicato. Alcuni elementi possono essere infatti interpretati in modo errato poiché le caratteristiche chimiche di un corindone sintetico e di uno naturale spesso sono identiche rendendo una buona parte della strumentazione tradizionale del gemmologo, quali il rifrattometro e la bilancia idrostatica, praticamente inutile. Anche una parte degli strumenti spettrofotometrici non può dare certezze all’analista. Resta allora l’unico compagno fedele, lo strumento che è quasi un’estensione del corpo del gemmologo: il microscopio. Pochi giorni fa sono state portate alla nostra attenzione due pietre molto simili, dal peso rispettivo di 2,13 e 2,27 carati, provenienti da uno stesso lotto. Entrambe mostravano un’attraente colorazione di un rosso abbastanza saturo tendente allo scuro con lieve tono rosa, apparentemente quasi identiche. La preliminare indagine microscopica ha rivelato che la somiglianza era solo apparente. In una, infatti, erano visibili linee di frattura risalenti in superficie, mentre la caratteristica prevalente dell’altra consisteva nella presenza di una ragnatela alquanto regolare di veli ritorti. Eseguendo gli altri test rifrattometrici non ho avuto indicazioni decisive se non che si trattava, in entrambi i casi, di corindoni. A questo punto mi sono risolto di immergere le gemme in ioduro di metilene, la sostanza utilizzata per rilevare di prassi l’indice di rifrazione. E proprio l’effetto dell’illuminazione filtrata dallo ioduro di metilene ha consentito un nettissimo miglioramento della definizione degli elementi riempienti estranei e infiltrati. Ciò mi ha rivelato una forte possibilità che la gemma a destra poteva trattarsi di un corindone naturale con vaste fessurazioni accentuate dal trattamento termico ben visibilmente riempite da elementi di fusione ben cristallizzati che hanno preso un deciso colore nerastro. Ma il vantaggio dell’immersione nel liquido contrastante ha avuto anche l’effetto di pormi in primo piano, a un numero di ingrandimenti superiore, un cristallo incluso individuabile nella forma come esagonale. Benché le due gemme mi siano state portate assieme, ho cominciato a dubitare che avessero le stesse proprietà e che quindi fossero della stessa origine. Infatti nella gemma di sinistra ho potuto riscontrare una totale assenza di cristalli o altri tipi di inclusione di origine naturale. Mentre la conformazione dei veli ritorti mi ha ricondotto ad ipotizzare che si trattasse di un sintetico con inserzioni di fondente, che non è infrequente ritrovarsi in commistione con le pietre naturali. Il prezzo di vendita di queste gemme è compatibile con quelle relative al materiale naturale africano con trattamento termico molto accentuato e con riempimento e ricristallizzazione delle fratture. Ma le stesse quotazioni non sono corrette se si parla di materiale completamente sintetico. Pare che questa problematica di materiali sintetici offerti in maniera promiscua con quelli naturali (anche se fortemente trattati) sia in aumento ed è rilevabile proprio dalle quotazioni con cui alcuni prodotti sono posti in vendita. Chi frequenta infatti i mercati di origine sa bene che la tendenza per pietre superiori al carato è in forte rialzo, a causa della continua domanda nei mercati dell’estremo oriente. In conclusione, seppur è possibile proporre rubini con un forte trattamento termico, a patto che questo venga correttamente rilevato nei dati di accompagnamento dei gioielli, è assolutamente da biasimare l’utilizzo di gemme sintetiche senza che ne siano dichiarate le effettive proprietà e caratteristiche. L’utilizzo promiscuo fa pensare che gli effetti possano complicare le pratiche di identificazione se non sono particolarmente accurate e se non vengono espletate meticolosamente pietra per pietra. Certamente il ruolo del gemmologo è prevalentemente tecnico e periziale. Dobbiamo rispondere caso per caso al mercato che ci impone dati tecnici risolutivi. Eppure, insieme ad altri colleghi, avvertiamo la necessità di diffondere la conoscenza di questi casi poiché il comportamento scorretto non può che riverberarsi sulla considerazione, sulla stima e sulla fiducia che i consumatori finali mostreranno nel prossimo futuro allorché dovranno acquistare un oggetto cosiddetto prezioso. Una nuova realtà gemmologica si affaccia sul web. Giugno ha visto il lancio del nuovo sito della Rivista Italiana di Gemmologia, un portale in doppia lingua (italiana ed inglese) in cui testo ed immagini si uniscono per dare a tutti gli appassionati un’informazione completa e puntuale. Il sito nasce per fare da supporto alla versione cartacea della Rivista e soprattutto per dare spazio alle news immediate, quelle per cui la tempestività è d’obbligo. Oltre alle varie sezioni dedicate alle singole rubriche (Gem News, 10X, The Diamond View, Editoriali, Recensioni, Pietre Responsabili) molto spazio verrà dedicato anche agli articoli scritti dai più grandi gemmologi italiani ed internazionali. Diamanti, gemme di colore, pietre semipreziose, materiali organici come il corallo e tanti altri argomenti: sarà possibile scegliere e filtrare in autonomia le notizie e gli articoli relativi alla singola pietra che ci interessa. Un archivio che verrà via via reso pubblico con il proseguire delle pubblicazioni cartacee. Tramite il nuovo sito ogni lettore potrà fare richiesta di abbonamento alla Rivista Italiana di Gemmologia, registrarsi per la spedizione gratuita del nr. 1 della Rivista ed effettuare il download del numero 0, pubblicato a Gennaio 2017. Da non dimenticare anche l’anima social della Rivista: la pagina Facebook ha recentemente raggiunto il traguardo dei 500 iscritti. La Rivista Italiana di Gemmologia, edita da E-Motion, è un progetto finanziato dal gruppo Trasparenze e dai sostenitori che credono nella sua mission: sviluppare in Italia un network informativo per gemmologi e per professionisti quotidianamente impegnati nel settore delle pietre preziose, mantenendo come caratteristica imprescindibile l’indipendenza e l’apertura a contributori di tutto il mondo. Si svolgerà a Marcianise il prossimo mercoledì 14 giugno, nell’Auditorium del Centro Orafo Oromare, il Meeting Gemmologico IGI 2017 Distretto Campania, organizzato dall’IGI International Gemological Institute Italy e da GemTech. Il programma della giornata di lavori prevede un seminario di aggiornamento, realizzato da IGI International Gemological Institute Italy in collaborazione con Gemtech, dedicato agli effetti tecnici e commerciali causati dall’introduzione di diamanti sintetici sul mercato. Per accedere al seminario, è necessario preregistrarsi compilando il modulo. Nell’occasione sarà aperto il tesseramento ad un nuovo soggetto culturale, l'Associazione IGI Alumni Italy, che intende facilitare le relazioni professionali tra tutti i cultori e gli appassionati delle gemme e della loro conoscenza, indipendentemente dal background di studi e dal livello di competenze maturate. La membership garantirà ai membri titolati iscritti, le cui credenziali saranno rese visibili online, vari benefici tra i quali una Rivista bilingue, la Rivista Italiana di Gemmologia, edita a Napoli e riferimento di livello internazionale per gli studiosi. Durante l’incontro è prevista anche la cerimonia di consegna dei diplomi gemmologici a tutti i corsisti IGI impegnati nell’ultimo ciclo di formazione. Gli attestati di formazione saranno consegnati da Deborah Pienica, Chief Operating Officer dell’International Gemological Institute di Anversa. |
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Maggio 2019
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