E' notizia recente che il prestigioso laboratorio SSEF ha pubblicato sul proprio sito un "Alert" relativo ad una certa quantità di zaffiro del Madagascar venduto e in qualche caso anche certificato come "Kashmir". Per la comunità gemmologica non è un argomento inedito. Dei favolosi Kashmir ne ha abbondantemente parlato Richard Hughes nel suo monumentale "Ruby & Sapphire. A gemologist's guide", tra l'altro recensito dalla nostra Rivista recentemente. È stato come riesumare un cadavere dopo decenni per effettuare un ulteriore autopsia. Non v'è notizia infatti, da lunghissimo tempo, di alcuna operazione mineraria nelle aree di tradizionale sfruttamento, luoghi inaccessibili e refrattari ad attività estrattive moderne. Per gli operatori più informati il comunicato del SSEF non è stata una notizia da "notti insonni", bensì una conferma di ciò che tutti i gemmologi ipotizzavano, cioè che l'improvvisa, presunta presenza sul mercato di zaffiri provenienti da una miniera silente dal 1982, chiusa perché la produzione per decenni era insufficiente per pareggiare i costi di estrazione, era semplicemente un'enorme bufala per vendere più care gemme di ottima qualità, ma di altra provenienza. I famosi zaffiri del Kashmir sono, pardon erano, estratti in una remota regione dell'Himalaya a quote elevate (si parla di circa 4.500 mt), nell'India nordoccidentale confinante con il Pakistan, zona venuta all'attenzione della cronaca per essere il centro dei conflitti tra i due paesi asiatici. I metodi di estrazione sono sempre stati "primitivi" a causa della posizione dei giacimenti, accessibili solo a piedi o in elicottero, basti pensare che la strada più vicina è a circa 6 giorni di marcia a piedi. La scoperta del giacimento avvenne per pura combinazione tra il 1879 e il 1881. Furono subito ritrovati grezzi di dimensioni rilevanti ed in quantità notevoli. I rinvenimenti non dovettero essere granché apprezzati dalle popolazioni locali se in alcuni casi pare che preferissero barattare le pietre con del sale. Il Maharaja del Kashmir, saputo che gli zaffiri rinvenute nelle sue terre stavano inondando il mercato indiano, pretese la loro restituzione perché entrassero così a far parte del tesoro personale. La vena della "vecchia miniera", quella che produsse la qualità migliore di gemme si esaurì ben presto. La produzione migliore si ebbe tra il 1881 e il 1887. Successivamente i ritrovamenti in una zona limitrofe denominata "nuova miniera" diedero nuova linfa al mercato dello zaffiro. Questo sito fu ben sfruttato per oltre 40 anni, producendo materiale abbondante anche se di qualità mediamente inferiore rispetto al primo giacimento valorizzato. Un colore spesso troppo scuro, talvolta non omogeneo e/o forte pleocroismo tendente al verde caratterizzavano questa seconda ondata. Dal dopoguerra in poi tutte le concessioni governative rilasciate non hanno procurato profitti adeguati e sperati alle varie ditte minerarie che si sono succedute, fino alla totale chiusura nel 1982. L'esaurimento delle miniere ha contribuito a far nascere il mito degli zaffiri Kashmir, provenienza che è diventata subito un attributo degli zaffiri più pregiati e, per questo motivo, dotati di un valore aggiunto cui il mercato si appellava per decretarne il valore. Questa tendenza costante di assegnare valore di unicità a belle pietre secondo l'area geografica di provenienza, ha spinto molti grossisti a spacciare zaffiri provenienti da Birmania, Sri Lanka e ultimamente dal Madagascar come dei mitologici "Kashmir". Ma quali sono le caratteristiche distintive dei fantomatici zaffiri himalayani? Ebbene codesti corindoni si ritrovano abitualmente in cristalli molto grossi di forma bipiramidale con una bella tonalità blu cobalto, concentrata spesso solo sulle punte o sulle parti esterne dei cristalli. Sapientemente tagliati, delle piccole zone intensamente colorate possono irradiare il colore anche nelle parti meno intense o quasi incolori. Viceversa sfruttare la parte più densamente colorata può portare come risultato finale a pietre molto scure, quasi nere. Bande di colore, finestre, fratture risanate e cavità sono le imperfezioni più presenti. I cristalli che più frequentemente troviamo inclusi nel nostro corindone himalayano sono quelli di zircone, lunghi aghi di pargasite (da considerarsi la “smoking gun” per l’attribuzione dell’origine), tormalina e mica, anche se è facile trovarli di dimensioni irrisoria, osservabili solo con l'ausilio del microscopio. Oltre ai cristalli di rutilo disposti in sottili nuvole orientati a 60° e 120°. Le dimensioni degli aghi di rutilo risultano essere inferiori rispetto agli zaffiri di altre provenienze, fornendo alle pietre del Kashmir il pregiato aspetto vellutato che, unito al colore Deep Blue costituiscono un connubio inimitabile, unico e soprattutto distinguibile. Analizzando lo spettro di assorbimento del "Kashmir" si nota un moderato assorbimento del Ferro e talvolta anche uno spettro del Cromo sovrapposto al primo. Aspetto, osservazione delle inclusioni e tecnologia (Uv-vis-NIR , MicroRaman, ecc) sono aiuti fondamentali per riconoscere la provenienza di una gemma. Nel caso dello zaffiro del Kashmir ci sono molti elementi caratteristici che se ben utilizzati possono dare un grosso aiuto ai laboratori più attrezzati per dare certezze ai clienti sulla reale provenienza. Volere è potere, ci sono i presupposti affinché il nostro Kashmir possa riposare in pace. |
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Maggio 2019
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