Reali e gioielli sono un connubio imprescindibile. Perle rare, grossi diamanti, gemme dai paesi lontani, segnano o hanno segnato la fortuna o la sfortuna delle case reali di tutto il mondo. I gioielli reali, meravigliosi e ricercati, singolari ed eccezionali, sono stati i veri protagonisti, in passato come nei nostri giorni, di vendite straordinarie, gossip, matrimoni sfarzosi, fughe rocambolesche e regali generosi. E’ recente la notizia della vendita all’asta di una parure di diamanti fancy che il Sultano Ahmed III dell’Impero Ottomano aveva donato alla moglie del viceré d’Egitto per celebrare la nascita del figlio. I diamanti fancy, molto probabilmente, erano stati donati dall’Imperatrice Caterina I di Russia al sultano nel tentativo di negoziare la fine dell'assedio di Pruth nel 1711. La casa d’asta Sotheby’s, impegnata nella vendita, ha stimato la parure intorno ai 4 milioni di dollari. La passione delle case Imperiali Russe per i gioielli è nota. Lo Zar Pietro il Grande nel 1719 decise di adibire una stanza apposita per conservare i suoi gioielli. La stanza fu nominata la “Stanza dei Diamanti”. Dopo di lui la figlia Elisabetta Petrovna e Caterina la Grande fecero un massiccio acquisto di gioielli incrementando la collezione imperiale. Questo collier fu realizzato tra il 1760 e 1780 e fu commissionato, probabilmente, da Caterina la Grande. Il collier presenta una caratteristica davvero insolita: è composto dalla collana vera e propria e da una spilla a forma di fiocco, entrambe le parti possono essere indossate separatamente. Il suo valore è stato stimato dai 3 milioni di dollari ai 5 milioni di dollari. La corona della casa reale di Persia, invece, ha una storia tutta incentrata sull’emancipazione delle donne persiane. Mohammad Reza Pahlavi sulla scia dei cambiamenti politici che contribuirono all’emancipazione delle donne decise di compiere un forte gesto simbolico incoronando nel 1967 la sua consorte, l'imperatrice Farah Dibah. Mai nella storia della Persia le consorti del Re erano state formalmente incoronate. Si rese necessario, quindi, realizzare una corona tutta “femminile”. La struttura della corona è realizzata in velluto verde e oro bianco. Sulla struttura in oro ci sono 38 smeraldi,105 perle, 34 rubini, 2 spinelli e 1.469 diamanti. Lo smeraldo più grande pesa 92 carati e la perla più ampia ha un diametro di 22 millimetri. Il suo valore non è conosciuto, qualcuno vuole azzardare? Le regine inglesi, nel corso della storia, hanno dimostrato,in più occasioni reali, la loro passione per gli zaffiri, in particolar modo per le spille adornate di zaffiri. La spilla (riportata nella foto) fu donata dal principe Alberto per le imminenti nozze con la futura consorte e Regina Vittoria. La regina Elisabetta la indossò il giorno del battesimo del principe William. Per questa spilla nel 2004, in occasione della visita della sovrana inglese in Italia, montò il caso del “mistero della spilla di zaffiro”. Indossando sul suo cappotto lilla, una spilla simile ma non uguale a quella della regina Vittoria, il mondo del gossip si scatenò: perché tale curiosa sostituzione da parte della sovrana? Furono elaborate varie congetture. La più accredita sembra essere quella che afferma che Elisabetta II per omaggiare il nostro Paese e il Papa indossò per la prima volta la spilla gemella. Si sa alla corte inglese nulla avviene per caso! I capolavori descritti sono, naturalmente, una piccolissima parte del vasto patrimonio esistente nel mondo. Essi sono degli esempi che dimostrano come ogni singolo gioiello, che appartiene o che è appartenuto alle diverse case regnanti, racchiudono storie e racconti affascinanti e avvincenti che incoronano, è il caso di dirlo, gemme preziose e rare, manifatture raffinate e ricercate per creare il “legittimo” gioiello regale. Nella stupenda cornice di Taormina, presso la struttura del “PalaLumbi”, si terrà dall’8 al 10 aprile 2017 la quarta edizione di Trinacria Oro, la mostra di gioielleria, oreficeria, orologeria ed argenteria. Con oltre 140 stand presenti, l’appuntamento fieristico siciliano si preannuncia ricco di affari ed occasioni di acquisto per tutti gli operatori del settore. Il gruppo Trasparenze vi invita a partecipare. Saremo infatti presenti con gli stand di E-Motion e di Paolo Minieri, ricchi di pietre preziose e semipreziose, perle, semilavorati in argento e tutto il necessario per le creazioni di gioielleria. Per l’occasione, Paolo Minieri SAS ha lanciato pochi giorni fa il nuovo Catalogo Argento 2017, uno strumento utile e funzionale per effettuare le proprie ordinazioni con precisione ed efficienza. Inoltre, E-Motion sarà presente con il nuovo progetto "Dai valore al tuo denaro. Acquista un diamante", attraverso il suo nuovo portale dedicato ai diamanti da investimento. Questa primavera, la Sicilia si conferma al centro delle attenzioni del mondo orafo e gemmologico. A pochi km di distanza, ci aspetterà a maggio la 3° Conferenza Mediterranea di Gemme e Gioielleria, un evento che porterà a Siracusa alcune tra le più influenti personalità del mondo della gemmologia e che accenderà i riflettori sui diamanti fancy (ma non solo) e di cui è Media Partner la Rivista Italiana di Gemmologia. E' notizia recente che il prestigioso laboratorio SSEF ha pubblicato sul proprio sito un "Alert" relativo ad una certa quantità di zaffiro del Madagascar venduto e in qualche caso anche certificato come "Kashmir". Per la comunità gemmologica non è un argomento inedito. Dei favolosi Kashmir ne ha abbondantemente parlato Richard Hughes nel suo monumentale "Ruby & Sapphire. A gemologist's guide", tra l'altro recensito dalla nostra Rivista recentemente. È stato come riesumare un cadavere dopo decenni per effettuare un ulteriore autopsia. Non v'è notizia infatti, da lunghissimo tempo, di alcuna operazione mineraria nelle aree di tradizionale sfruttamento, luoghi inaccessibili e refrattari ad attività estrattive moderne. Per gli operatori più informati il comunicato del SSEF non è stata una notizia da "notti insonni", bensì una conferma di ciò che tutti i gemmologi ipotizzavano, cioè che l'improvvisa, presunta presenza sul mercato di zaffiri provenienti da una miniera silente dal 1982, chiusa perché la produzione per decenni era insufficiente per pareggiare i costi di estrazione, era semplicemente un'enorme bufala per vendere più care gemme di ottima qualità, ma di altra provenienza. I famosi zaffiri del Kashmir sono, pardon erano, estratti in una remota regione dell'Himalaya a quote elevate (si parla di circa 4.500 mt), nell'India nordoccidentale confinante con il Pakistan, zona venuta all'attenzione della cronaca per essere il centro dei conflitti tra i due paesi asiatici. I metodi di estrazione sono sempre stati "primitivi" a causa della posizione dei giacimenti, accessibili solo a piedi o in elicottero, basti pensare che la strada più vicina è a circa 6 giorni di marcia a piedi. La scoperta del giacimento avvenne per pura combinazione tra il 1879 e il 1881. Furono subito ritrovati grezzi di dimensioni rilevanti ed in quantità notevoli. I rinvenimenti non dovettero essere granché apprezzati dalle popolazioni locali se in alcuni casi pare che preferissero barattare le pietre con del sale. Il Maharaja del Kashmir, saputo che gli zaffiri rinvenute nelle sue terre stavano inondando il mercato indiano, pretese la loro restituzione perché entrassero così a far parte del tesoro personale. La vena della "vecchia miniera", quella che produsse la qualità migliore di gemme si esaurì ben presto. La produzione migliore si ebbe tra il 1881 e il 1887. Successivamente i ritrovamenti in una zona limitrofe denominata "nuova miniera" diedero nuova linfa al mercato dello zaffiro. Questo sito fu ben sfruttato per oltre 40 anni, producendo materiale abbondante anche se di qualità mediamente inferiore rispetto al primo giacimento valorizzato. Un colore spesso troppo scuro, talvolta non omogeneo e/o forte pleocroismo tendente al verde caratterizzavano questa seconda ondata. Dal dopoguerra in poi tutte le concessioni governative rilasciate non hanno procurato profitti adeguati e sperati alle varie ditte minerarie che si sono succedute, fino alla totale chiusura nel 1982. L'esaurimento delle miniere ha contribuito a far nascere il mito degli zaffiri Kashmir, provenienza che è diventata subito un attributo degli zaffiri più pregiati e, per questo motivo, dotati di un valore aggiunto cui il mercato si appellava per decretarne il valore. Questa tendenza costante di assegnare valore di unicità a belle pietre secondo l'area geografica di provenienza, ha spinto molti grossisti a spacciare zaffiri provenienti da Birmania, Sri Lanka e ultimamente dal Madagascar come dei mitologici "Kashmir". Ma quali sono le caratteristiche distintive dei fantomatici zaffiri himalayani? Ebbene codesti corindoni si ritrovano abitualmente in cristalli molto grossi di forma bipiramidale con una bella tonalità blu cobalto, concentrata spesso solo sulle punte o sulle parti esterne dei cristalli. Sapientemente tagliati, delle piccole zone intensamente colorate possono irradiare il colore anche nelle parti meno intense o quasi incolori. Viceversa sfruttare la parte più densamente colorata può portare come risultato finale a pietre molto scure, quasi nere. Bande di colore, finestre, fratture risanate e cavità sono le imperfezioni più presenti. I cristalli che più frequentemente troviamo inclusi nel nostro corindone himalayano sono quelli di zircone, lunghi aghi di pargasite (da considerarsi la “smoking gun” per l’attribuzione dell’origine), tormalina e mica, anche se è facile trovarli di dimensioni irrisoria, osservabili solo con l'ausilio del microscopio. Oltre ai cristalli di rutilo disposti in sottili nuvole orientati a 60° e 120°. Le dimensioni degli aghi di rutilo risultano essere inferiori rispetto agli zaffiri di altre provenienze, fornendo alle pietre del Kashmir il pregiato aspetto vellutato che, unito al colore Deep Blue costituiscono un connubio inimitabile, unico e soprattutto distinguibile. Analizzando lo spettro di assorbimento del "Kashmir" si nota un moderato assorbimento del Ferro e talvolta anche uno spettro del Cromo sovrapposto al primo. Aspetto, osservazione delle inclusioni e tecnologia (Uv-vis-NIR , MicroRaman, ecc) sono aiuti fondamentali per riconoscere la provenienza di una gemma. Nel caso dello zaffiro del Kashmir ci sono molti elementi caratteristici che se ben utilizzati possono dare un grosso aiuto ai laboratori più attrezzati per dare certezze ai clienti sulla reale provenienza. Volere è potere, ci sono i presupposti affinché il nostro Kashmir possa riposare in pace. E adesso la parola alle gemme. Responsabili, trasparenti ed italiane: nasce www.paolominieri.com29/3/2017
Un sito per perdersi nelle mille faccette della bellezza. Prende vita dal mese di Aprile 2017 il nuovo sito web aziendale di Paolo Minieri SAS, uno spazio in cui le gemme sono vive, parlano e ci trasmettono la loro bellezza. Un nuovo progetto comunicativo su cui l’azienda ha puntato molto e che rappresenta soltanto il primo passo di un percorso denso di sfide. Non una semplice presentazione di attività commerciali ma una piattaforma tutta da sfogliare, un mondo in cui immergersi, una fonte di ispirazione e di notizie. Network brillante e trasparente. Paolo Minieri SAS è una delle realtà di Trasparenze, un network di idee che Paolo Minieri ha portato a trasformarsi in singole imprese. Trade, ricerca, informazione, taglio, formazione. Tante faccette che compongono una gemma ideale, concepita in modo innovativo. Una gemma trasparente, autentica, comunicata seriamente. Lo stesso servizio puntuale che porta a destinazione i diamanti e i gioielli di E-Motion, i corsi INTERNATIONAL GEMOLOGICAL INSTITUTE IGI-ITALY, l'editoria specializzata della Rivista Italiana di Gemmologia. Progettare la qualità. Parla Domenico Angelino, webmaster e content manager del sito. “Mi è stato chiesto, da parte dell’azienda, di trasmettere, attraverso il potere evocativo di testi ed immagini, la mission e i valori che hanno caratterizzato la Paolo Minieri SAS nel lungo e solido percorso commerciale intrapreso negli ultimi decenni e che continuano ad essere i capisaldi della società.” Domenico ha studiato attentamente il profilo assai articolato del network, un assessment necessario delle funzioni e degli obiettivi. “Qual è il punto focale, il messaggio che abbiamo voluto dare? E’ quello della gemma non come semplice pietra, fissa ed immutabile, ma come progetto aperto alle necessità del fashion, del luxury, del made in Italy, del design. Le pietre di Paolo Minieri sono innatamente, naturalmente trasparenti. Sono pietre responsabili perché dichiarate onestamente per quelle che sono gemmologicamente e commercialmente. Motori non sfruttati. Mettiamoli in moto. Un progetto che svela la sua ricchezza se si ha la possibilità di mostrarne le potenzialità in termini di servizio. “Paolo Minieri deve essere quello che è diventato col lavoro di decenni, una struttura capace di selezionare, disegnare, realizzare in proprio il taglio, verificare e comunicare la qualità.” “E’ un qualcosa che va oltre, e la cui piena consapevolezza non è ancora stata raggiunta da parte di tutti gli addetti del settore. Mi ha sorpreso notare quanti operatori da me intervistati nella fase di pianificazione del piano di comunicazione non avessero idea delle possibilità ancora da sfruttare in termini di prodotti e servizi.” Ortaggi freschi per perle e tanzaniti. Via la polvere dalla comunicazione delle pietre preziose. Domenico ha elaborato un piano di comunicazione che, per cercare di svecchiare ed alleggerire il mondo un po’ polveroso della creazione orafa, ha deciso di puntare sulla natura, sulla frutta, sugli ortaggi e sulla loro freschezza e naturalezza: per rinfrescare l’idea di pietra preziosa, troppo ingessata in un’iconografia appesantita dalla distanza tra produttore e consumatore. “Grazie ad un magnifico spirito di coordinazione con i fotografi ed i creativi , siamo riusciti a raggiungere il nostro obiettivo: un sito dal forte impatto visual, un’immagine giovanile che in effetti nel nostro settore viene spesso messa in secondo piano.” Se le pietre sono parte del gioiello, se il gioiello è italiano, allora le pietre sono italiane. “Paolo Minieri non dimentica che la gemma è anche arte, poesia: foto e descrizioni evocative che prendono vita come fuochi d’artificio e che abbiamo declinato nelle tre tipologie di pietre preziose che ci rappresentano, Classic, Fashion ed Innovation.” “Altro valore fondamentale, spesso dimenticato: non è vero che la gemma non è italiana! Noi progettiamo e tagliamo! Questo lo dovevamo urlare. La gemma è una parte del gioiello, indivisibile, e come tale deve essere concepita. Gioiello italiano, pietre di disegno, gusto, stile e taglio italiano. “ “Nel nostro sito, in cui il prodotto principe ha il suo regno nella sezione Taglieria, non mancano i richiami a tutti i servizi offerti grazie al network. Tutto ciò senza dimenticare l’usabilità del sito e la flessibilità di chi volesse utilizzarlo da dispositivi mobili e la crescente integrazione con i nostri canali Facebook ed Instagram.” Il prossimo passo? Un futuro e-commerce, per dare ancora più strumenti alla nostra clientela e per rendere sempre più smart il settore in cui operiamo. ![]() In un tour a marce forzate (che interesserà, oltre al distretto del Tarì di Marcianise, anche quelli di Arezzo, Vicenza e Valenza), l’ICE, l’Agenzia per la Promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, sta portando avanti un elaborato progetto teso a favorire l’accesso delle aziende orafe italiane verso i mercati esteri, il Jewellery Export Lab. Il nocciolo della questione resta quello di sempre. Il sistema produttivo, una volta rigoglioso, che ruota intorno al mondo del gioiello italiano, si è inceppato per una serie di cambiamenti che si sono manifestati quasi tutti contemporaneamente. L’intervento a sostegno dell'accesso sul mercato globale evidenzia proprio la presa di coscienza sostanziale del fatto semplicissimo che l’impresa orafa Italiana tradizionale, e in particolare quella meridionale, non entra automaticamente nel mondo moderno. Orientarsi verso l'export comporta uno sforzo di aggiornamento delle procedure. Tutti i tentativi precedenti di raggiungere nuovi mercati si sono dimostrati meno efficaci di quanto si potesse prevedere perché sono mancati alcuni fattori decisivi. Innanzitutto si deve fare i conti con le dimensioni delle imprese (il tessuto orafo appare polverizzato in tantissime aziende di piccola o media grandezza). Questo implica più che mai la necessità di agire in una rete con interessi condivisi ed obiettivi precisi. Ma è anche la cultura d’impresa che deve mostrarsi adatta ad incontrare le richieste del mercato internazionale. Il programma dell'ICE sembra aver focalizzato correttamente il gap di conoscenze operative che limita il successo dell'export orafo italiano. Sono previste sessioni di audit volte a dialogare con le singole imprese, per accompagnarle alla consapevolezza delle proprie possibilità e per consolidare la formazione interna di quelle figure professionali in grado di favorire questo passaggio di competenze e di capacità. Il costo per le singole aziende è assolutamente sostenibile. Il nuovo approccio verso l’internazionalizzazione che oggi è stato presentato agli operatori del Tarì porta sul territorio quella visione particolarmente dinamica ed efficace che ha segnato nel tempo l'operato del Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Altro fattore di grande sostegno è rappresentato dall’elezione di Licia Mattioli (ex presidente di Federorafi) nel CdA dell’ICE. Si intravede infatti quella concretezza e quell'approccio pragmatico che è possibile quando si tiene conto delle realtà specifiche di un comparto così complesso quale quello della gioielleria. L’incontro presso il centro di Marcianise ha riscosso un apprezzabile successo di pubblico ed un interesse evidente da parte di quelle imprese che sentono di avere una vocazione spiccata per l’export, senza però essere finora riuscite ad incidere in maniera evidente nelle percentuali del loro fatturato. Il lavoro che si prospetta in fondo non è altro che prender coscienza di dover tornare sui banchi di scuola. Il settore del gioiello italiano ha forse vissuto qualche anno di troppo delle rendite di posizione acquisite in quella che però è un’epoca ormai passata. Il successo dell’iniziativa dunque dipende dalla possibilità di trovare un match tra le aspettative elevate del mercato internazionale, che ancora ci percepisce come riferimento del design orafo, e le reali competenze che ogni singola azienda ha (o non ha). Purtroppo il gap esiste e va affrontato sostituendo, o per meglio dire, integrando, la vecchia formazione maturata in seno ad aziende gestite con logiche poco strutturate, tipica delle piccole-medie imprese italiane, con professionalità capaci di strutturare l’impresa nei campi della web-reputation, dell’export management, della conoscenza tecnica dei prodotti e della corretta trasmissione del loro valore ai potenziali mercati. Strumento indispensabile per ogni professionista del gioiello, il nuovo catalogo dei semilavorati in argento 925 targato Paolo Minieri vede la luce in un design tutto nuovo, lineare ed essenziale per andare dritti al sodo. Un catalogo da stampare, o da custodire gelosamente nel computer, pronto per essere consultato anche nei momenti più concitati. Ordinare a distanza non è mai stato così semplice. Catene, fili, chiusure, chiusure zirconate, ami, monachelle e componenti: tutto il set di semilavorati utili ed indispensabili per le creazioni di gioielleria. Corredato di foto, pesi e misure, ti basterà comunicare il codice degli articoli desiderati allo staff, che provvederà alla gestione dell’ordine. Sei in mobilità? Nessun problema! Puoi contattare Paolo Minieri SAS anche tramite email, Whatsapp e Facebook! Scarica ora il nuovo Catalogo Paolo Minieri Argento 925 – 2017 in PDF. Preferisci la versione light (senza marchi)? Richiedila ora.
O forse no, ci importa. La gioielleria dei VIP sta riempiendo la rete, i Social, le TV. Vorrà pure dire qualcosa? I gioielli si fanno sempre più veicoli di valori simbolici. E la rete riscopre questi segni per trasmettere l'immagine delle star e garantendone la presenza. Trilogy, anelli di fidanzamento, di matrimonio, strumenti di seduzione, affermazioni di status di celebrità. Ma sotto sotto ci vediamo anche l'interesse reale che questi VIP hanno della gioielleria. Volete la storia dell'anello di Fedez? Ecco la storia, ma non è poi granché.
L'Huffington Post pubblica la notizia e ci racconta come è andata. L’occasione è San Valentino. Fedez regala un anello alla sua nuova fiamma Chiara Ferragni: un bellissimo trilogy. Il dono è accompagnato da una coreografia degna di un uomo innamorato: palloncini dappertutto, lui balla per lei vestito con un enorme cuore di pelliccia, la stanza tappezzata con le foto che immortalano i due fidanzati. Bene, fin qui nulla di strano… tranne il fatto che l’anello è lo stesso che il rapper ha regalato alla sua ex Giulia Valentina un anno fa. La notizia, con le foto delle ragazze con al dito i relativi trilogy fa il giro del web. Fedez ha “riciclato” l anello? A ben guardare l'anello della Ferragni ha tre diamanti in più ed è più grande. Forse Fedez, regalando lo stesso anello alla nuova fidanzata con il peso dei diamanti maggiore, ha voluto comunicare che l’ama di più rispetto alla sua ex? E ancora, il rapper, regalando alla Ferragni un anello simile a quello di Giulia Valentina, ha poca fantasia? Il motivo reale ci è sconosciuto. Al di là dei diversi e probabili motivi c’è un dato di fatto: la notizia del trilogy di Fedez sta facendo il giro del web appassionando non solo milioni di follower ma anche chi non è un accanito fan del cantante. Allora ci chiediamo: se Fedez si appassionasse ai gioielli con la stessa intensità che impiega nel creare e sfruttare notizie da far circolare sui social, non farebbe più bella figura rendendo un migliore servizio a chi lavora duro per fare bella gioielleria e bei trilogy? Ciò che si temeva da tempo è avvenuto. La notizia, decisamente preoccupante, è stata già rilanciata dalla Rivista Italiana di Gemmologia e le fonti, Rapaport e GIA, sono assolutamente attendibili. La notizia forse sulle prime passerà in Italia un po' inosservata. Non ci si meravigli. Da tempo ormai vibrano le ormai sempre più tese corde d'attenzione preoccupata degli operatori. In un certo senso, alle molte sirene che urlano ci si abitua. Tanto allarme, nessun allarme. Ma la portata delle conseguenze sul mercato si preannuncia superiore a quanto molti si possano aspettare. Il post ci conferma il temuto aumento di attività fraudolente rivolte a mescolare quantità di diamanti sintetici con naturali nei lotti di materiali più piccoli. La notizia arriva dai laboratori del GIA. La partita analizzata conteneva 323 diamanti di cui 101 sono risultati diamanti sintetici CVD. La dimensione dei diamanti aveva una media di 0.015 carati (1 centesimo e mezzo). Wuyi Wang, direttore dell’istituto di ricerca e sviluppo del GIA di Mumbai ha dichiarato: "Questa è la prima volta che abbiamo rilevato una percentuale significativa di CVD mescolata ai diamanti naturali”. Ricadute sul lavoro dei gemmologi impegnati sul campo? Ecco in breve che succede dopo questo fatto. Le insidie al lavoro di riconoscimento consistono in due aspetti principali. In primo luogo le dimensioni. I lotti di pietre molto piccole pongono sempre una serie di ulteriori difficoltà al laboratorio. Per le dimensioni ridottissime e la grande quantità da scrutinare, la dotazione strumentale, per quanto possa essere avanzata, non permette sempre di raggiungere diagnosi adeguatamente veloci. Ma il dato più complesso è costituito dalle caratteristiche chimiche e fisiche dei diamanti sintetici CVD. Finché la minaccia era costituita dai sintetici HTHP, il criterio discriminante per raggiungere l'identificazione si incentrava sulla valutazione della fosforescenza. Questo tipo di analisi può essere effettuata per quantità anche elevate e richiede tempi sostenibili per il laboratorio. I sintetici CVD non reagiscono allo stesso modo. È lì che si concentra il lavoro più avanzato dell'analista che però aveva sinora almeno il vantaggio di operare su una quantità limitata e circoscritta alle pietre di dimensione maggiore. Il processo di sintesi CVD prevedeva la crescita su un cristallo seme di sintetico HPHT ed un successivo post trattamento per migliorare il colore del materiale sintetizzato, in origine brunastro o grigiastro. Specifichiamo il termine “prevedeva” perché, alla luce di queste complicazioni, la produzione di materiale piccolo o piccolissimo era considerata sinora non conveniente economicamente a causa della sua intrinseca complessità di sintesi. Qualcosa deve per forza essere cambiato nei sistemi di crescita per far sì che produrre a costi sostenibili i CVD divenisse finalmente possibile.
Si è potuto escludere il cristallo seme? Si è potuto evitare il post trattamento? Ad oggi non ci è ancora dato sapere, anche perché questi protocolli vengono gelosamente tenuti segreti dai produttori e sono i laboratori gemmologici che devono, ahinoi, fare il lavoro investigativo a ritroso per risolvere il problema. Possono certo venire in soccorso i metodi analitici spettrofotometrici sinora utilizzati per il materiale di maggiori dimensioni, è vero. Ma non dobbiamo però dimenticare il fatto che i lotti di mêlée sono di migliaia e migliaia di pietre e si dovrà procedere inizialmente per campionature. A ciò va aggiunto che i picchi rivelatori aiutano ovviamente chi può lavorare sugli spettri. E sugli spettri lavora chi si può permettere di acquisire dotazioni costose. Il mercato deve trarre le conseguenze di questa realtà. Ma la comunità più avanzata dell'intellighenzia dei diamantari ha già da tempo prefigurato i nuovi scenari. Martin Rapaport, una parte in causa di notevole autorevolezza, già nel 2015 argomentava che non esiste chance nel fare una guerra di religione ai diamanti sintetici. Piuttosto occorre garantire la tracciabilità di quelli naturali con percorsi seri a garanzia del consumatori. Gli anticorpi dunque non possono che venire da un'accresciuta campagna di sensibilizzazione degli operatori col sostegno della migliore applicazione di tecniche di indagine scientifica. |
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Maggio 2019
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