"Sono una pittrice non un gioielliere. All'inizio della mia carriera il mio interesse era centrato sulla pittura e la scultura. Solo dopo ho iniziato ad applicare i principi delle Belle Arti alla gioielleria usando le gemme come tavolozza." Master a 22 anni in pittura e scultura Paula Crevoshay da New York negli anni 80 si stabilì per tre anni in India con suo marito, un orientalista, avendo la fortuna di risiedere in un Monastero con il Dalai Lama. Attrice a Bollywood, profonda conoscitrice delle culture orientali e coinvolta nelle sue esotiche e attraenti atmosfere, Paula fece ritorno in patria con un profondo interesse per le svariate combinazioni che le sue capacità artistiche intravedevano nella rigogliosa tradizione indiana per i gioielli.
Già Cartier aveva trovato ispirazione nella raffinatezza Moghul che insegnava agli stilisti il fascino delle ricche combinazioni di accostamenti cromatici di gemme incise. Ma adesso Paula fa un passo avanti. La sua formazione nelle arti figurative le consente di utilizzare le pietre con un gusto cromatico prima poco sconosciuto. "...è pure importante riscoprire nella nostra cultura tecniche antiche che richiedono tempo e che sono manuali. Andrebbero perse... " Nascono dei veri capolavori. Paula ha due principali caratteristiche che la differenziano da altre designer. Da artista formata accademicamente è sempre stata ostile alla produzione di massa delle sue creazioni preziose. Queste restano essenzialmente pezzi unici ed irripetibili. In effetti questa scelta paga. I suoi pezzi entrano nel discorso del collezionismo poi che del trade classico dei negozi. E la sua lezione oggi è più moderna che mai. Dov'è la notizia? Ormai lo sappiano che delle gemme così grandi hanno un protocollo e con la spettrometria rivelano la loro vera natura. Semmai la minaccia resta sui lotti di pietre piccoline. Lì il discorso si fa più complesso e l'attrezzatura costosissima. Il fatto curioso che però ci fa pensare è che le gemme sono arrivate sfuse e senza alcun commento. Chi porta gemme sintetiche in un laboratorio primario in genere le dichiara come tali. Anche perché non è che non valgano nulla. Anzi... È’ come se ci avessero provato. Se la va la spacca. Eccone le descrizioni. Ottobre 2016. Un diamante dal peso di 5,19 carati, colore J e purezza VS2 giunge al laboratorio GIA di Hong Kong per una classica valutazione. La gemma, un diamante taglio cuscino, presenta, ad un primo esame al microscopio, delle inclusioni di aghiformi e nuvole. Qualche settimana prima, il GIA aveva scovato un sintetico fancy da record. Il diamante blu da 10,08 carati, ricreato in laboratorio tramite il metodo HPHT (High pressure, High temperature), è stato esaminato dagli esperti GIA di Hong Kong su richiesta di un cliente. Dopo le opportune analisi gemmologiche e spettroscopiche, è risultata chiara la natura sintetica del diamante. Inoltre, si è scoperta la provenienza della pietra: è stata prodotta dalla NDT (New Diamond Techonology) di San Pietroburgo, Russia. La fotografia gemmologica può regalarci autentici capolavori, aprirci al mondo dell’infinitamente piccolo ed evocare paesaggi e suggestioni emozionanti. Non c'è gemmologo che col terzo occhio dell'obiettivo montato e pronto al click non sia volato in un mondo fiabesco. La natura si diverte ad anticipare l'arte. Ma per riuscire a cogliere la bellezza e la perfezione bisogna avere, oltre che un’ottima attrezzatura e una passione per le gemme, anche un occhio e un talento sopraffini. Caratteristiche e qualità che certamente possiede E. Billie Hughes, gemmologa e figlia d'arte (di Dick Hughes), nonché neoeletta miglior microfotografa del 2016 dal Gem-A (l’Associazione Gemmologica della Gran Bretagna). Nella sua intervista rilasciata ad AsiaLounges, racconta il suo primo approccio al mondo della microfotografia gemmologica, iniziata con un iPhone e un microscopio e partecipando, quasi per caso, ai primi contest fotografici. “Ciò che rende speciale la microfotografia” – afferma Billie – “è che all’interno delle pietre puoi guardare indietro di milioni di anni: ogni gemma è una capsula del tempo che ha incamerato un piccolo granello del passato remotissimo del nostro pianeta”. La microfotografia delle inclusioni, in effetti, invita ai dettagli rivelatori. Che senso ha tutta la purezza di un cielo azzurro se non vi scorgiamo volteggiare un'aquila? Sono caratteristiche che spesso sfuggono al consumatore. A lui hanno detto di cercare purezza ed ancora purezza. Ma per tutti gli appassionati che hanno avuto più informazioni vale il contrario: è l’inclusione ad accrescere il fascino di una pietra, e spesso a determinarne l'autenticità. Alcune inclusioni, oltretutto, non sono affatto fastidiose poiché sono invisibili ad occhio nudo, ma vengono scoperte solo attraverso ingrandimenti più o meno accentuati: sono una sorta di DNA, l’impronta digitale che rende la nostra pietra unica. Molte delle fotografie di E. Billie Hughes sono ospitate nel portale LotusGemology, grazie al motore di ricerca Lotus Hyperion che mette a disposizione oltre 600 foto di inclusioni ordinate per tipo di pietra, trattamento ed origine. Più recentemente è aumentata la disponibilità di Tanzanite grezza. Una inaspettata opportunità La situazione politica ed economica della Tanzania non consente un controllo stabile sulla sua risorsa preziosa. Piccole imprese artigiane collocano sul mercato da un paio di anni materiale più accessibile e più adatto anche ai tagli come i cabochon e le rondelle per collane. Ma cosa c'è dietro il boom di questa zoisite blu? Da quanto tempo è così diffusa? Quali sono le quotazioni? Una volta c'erano i big three, zaffiri, smeraldi e rubini, incontrastati ed intramontabili divinità dell'Olimpo gemmologico. Oggi si può allargare la scelta. Particolarmente rare, le gemme blu possono permettersi di raffrontarsi allo zaffiro? Quante sono? Da quanto tempo sono sul mercato? E a quali prezzi? E con quali virtù? Oggi è il momento della Tanzanite, da outsider a star, una gemma che diventa accessibile in più qualità ma che ormai è nel club dell'alta gioielleria. Tanzanite, una star molto giovane. Ha 48 anni. Non millenaria ma poco più che quarantenne la tanzanite segna il record del più rapido ingresso di una gemma nell'olimpo delle vendite. Altri blu pregiati che non fossero zaffiri, lo abbiamo notato, nella tavolozza orafa proprio ci mancavano. L'ora della tanzanite scoccò nel 1967 nella regione di Arisha in Tanzania. In tempo per sincronizzarsi con nuovi dispositivi di marketing evoluto per organizzarne la diffusione. Questa incantevole varietà della zoisite poteva infatti sfruttare a pieno la peculiarità di essere rinvenuta esclusivamente in Tanzania e in quantità che apparivano pertanto limitate. Tiffany intuì il potenziale della nuova gemma e la introdusse sul mercato, investimento pubblicitario da un milione di dollari del 1969, con tutto il prestigio del suo brand (figura). In meno di mezzo secolo intorno alla tanzanite si è compiuto buona parte del lavoro di marketing per realizzare il quale lo zaffiro aveva impiegato millenni, solcato rotte commerciali, sollecitato ricerche e suscitato leggende. Della tanzanite invece si è saputo tutto subito: gemma ignota al mercato, varietà di zoisite con distinto pleocroismo, esclusiva di una precisa area geografica e di un paese relativamente tranquillo circondato da realtà africane fortemente conflittuali. L'introduzione della tanzanite sul mercato riuscì molto bene negli Stati Uniti negli anni ‘80 e ‘90 con prezzi che sono arrivati anche a toccare i 1000 dollari al carato al consumo. Operazione riuscita? I livelli dell'export (vedi figura) e di consumo dicono di sì. Pare che a riscaldare incidentalmente la tanzanite fossero stati i pastori con i loro bivacchi. Ma sta di fatto che senza trattamento termico i fantastici toni blu e porpora non apparirebbero mai da quei cristalli bruni che si trovano nel sottosuolo (vedi figura). La concentrazione della tanzanite in un'area così ristretta ha rapidamente portato ad una situazione di quasi monopolio da parte della Tanzanite One, raggruppamento minerario in cui sono convenuti grossi capitali interessati ad una stabilizzazione dell'offerta e dei prezzi. Qualcosa di simile a quanto accadde nel sistema distributivo dei diamanti contraddistinto da una concentrazione della catena dalla produzione del grezzo fino alla commercializzazione per mezzo di concessionari (la figura evidenzia la considerevole concentrazione di tanzanite grezza nelle mani di Tanzanite One). L'avventura di Tanzanite One termina nel 2015 con la cessione a Richland. Trasparenze network sta lavorando moltissimo sull'opale. Grandi novità in arrivo a breve. Stiamo per rilasciare infatti la più attenta e circostanziata ricerca sull'opale etiope e i suoi presunti trattamenti con resine. Inoltre stiamo preparando insieme a dei colleghi un lavoro di gruppo sulla lavorazione dell'opale, dal grezzo al gioiello. In effetti siamo pazzi per gli opali perché sono gemme che ti catturano al primo impatto. Un turbinio di colori che esplodono al buio lasciando a bocca aperta chiunque. Questo è il caso della gemma Virgin Rainbow, un favoloso opale scoperto in Australia nel 2003. Tra i più rari e i più costosi opali al mondo, il suo valore si aggira intorno al milione di dollari. Ma qual è la sua storia? Ce la racconta il suo scopritore, John Dustan. Dustan vive e lavora a Coober Pedy, paesino nel deserto australiano considerato il capoluogo mondiale dell’opale. La particolarità di questo posto è che i suoi abitanti vivono per la maggior parte sottoterra, per sfuggire al calore del giorno e al freddo rigido della notte. Dopo aver scavato e raccolto opali per 50 anni, nel 2003 compie la scoperta che gli cambierà la vita. “Ci sono voluti molto tempo e molto lavoro per scoprire la bellezza di questa gemma” - racconta Dustan. “Quando l’abbiamo scoperta, era contenuta in un pezzo di roccia arenaria e potevamo vederne solo la punta. Non ho avuto idea della grandezza della gemma, né dei suoi colori, finché non ho portato a casa la pietra e ho rimosso la patina che la ricopriva”. Una volta completato il lavoro di taglio e pulitura, ci si è resi conto subito della bellezza, della rarità e del valore di questa magnifica gemma. Virgin Rainbow brilla nel buio: più la luce è scura, maggiore è il numero di colori che riesce a mostrare. “Incredibile” è la parola che chi ha scoperto questa pietra ripete più spesso. E probabilmente è ciò che hanno pensato anche tutti coloro che non hanno perso l’occasione di guardarla dal vivo. In occasione del centenario dell’estrazione dell’opale in Australia, è stata infatti organizzata una mostra nel South Australian Museum di Adelaide, in cui Virgin Rainbow si è mostrata al pubblico in tutto il suo splendore di colori. Come si sa, esiste poco topazio naturalmente azzurro in natura. A partire dagli anni ’80 è entrato in uso il trattamento per irraggiamento, declinato in varie procedure capaci di produrre un azzurro intenso sky fino alle sfumature sature o addirittura cobalto del London blue. Tra i principali protagonisti del grande sviluppo di popolarità e di produzione del topazio azzurro, la famiglia Ostro ha acquisito un ruolo predominante. Se il topazio blu oggi ha una popolarità non indifferente, lo dobbiamo anche alla scoperta, circa trent’anni fa, del topazio Ostro, il più grande topazio di colore blu intenso al mondo. Questa magnifica gemma, dal peso di 9381 carati e dalla lunghezza di circa 15 centimetri, fu raccolta in Brasile, da sempre meta di avventurieri alla ricerca di gemme dalla bellezza e dal colore sempre più straordinari. Adesso abbiamo, anche per quanto riguarda il topazio azzurro, una supergemma anche al museo. La vera notizia è dunque che si riconosce che anche una pietra la cui colorazione è stata ottenuta attraverso una evidente manipolazione nelle fasi di lavorazione, è degna di figurare in una galleria di pezzi d’eccezione. L’altra notizia è che stiamo parlando di una pietra di circa 2 kg, non un cristallo formato da museo mineralogico, ma un oggetto prismatico di eccezionale grandezza faccettato dovutamente per sprigionare brillantezza e tinta come se qualcuno se la potesse mettere al dito. Dal 19 ottobre 2016 la pietra è esposta permanentemente presso il Museo di Storia Naturale di Londra. Per trasmettere la passione per le gemme, quale location migliore del Museo londinese, che presenta già una delle più importanti collezioni di minerali al mondo? Oltre cinque milioni di visitatori all’anno potranno finalmente perdersi nel blu profondo ed evocativo di questa gemma. E-motion ad Hong Kong. L’azienda campana, parte del gruppo Trasparenze, sarà presente alla Hong Kong International Jewelry Manufacturers’ Show, uno dei più importanti eventi del settore nel sud-est asiatico. La 24° edizione del JMA si terrà dal 24 al 27 novembre 2016 con l’obiettivo di bissare il successo relativo all’edizione 2015, quando vennero accolti oltre 730 espositori provenienti da 21 paesi differenti tra cui Cina, Giappone, Corea, Thailandia e Italia. Quest’anno sono attesi oltre 1100 stand che andranno a coprire tutta la gamma di prodotti e servizi offerti dalle più importanti aziende manifatturiere del settore: gioielleria in diamanti, perle, gemme di colore, opali, giade, macchinari e altra strumentazione. E-motion di Sergio Sorrentino sarà presente con la sua linea di pietre di colore di alta gamma e una selezione di pezzi unici di gioielleria, prodotti realizzati coprendo tutta la filiera produttiva: dalla selezione del grezzo (effettuata da personale specializzato con gli standard previsti dai maggiori istituti gemmologici mondiali), al taglio (realizzato presso la taglieria del gruppo nel centro orafo Oromare a Marcianise). Il 20 settembre 2016 è stata inaugurata in Canada una delle dieci più grandi miniere di diamanti al mondo, nonché la più grande aperta nell’ultimo decennio. Dalla miniera di Gahcho Kué, nella regione dei Territori del Nord-Ovest, ci si aspetta una produzione pari a circa 4,5 milioni di carati all’anno. L’indotto previsto dall’operazione, che darà un forte impulso a tutta l’economia diamantifera canadese, è di circa 6,7 miliardi di dollari in 12 anni, a fronte di un investimento di un miliardo di dollari. La De Beers Canada, che detiene metà della miniera insieme alla Mountain Province Diamonds, ha inoltre annunciato che la nuova apertura creerà circa 530 posti di lavoro, riassorbendo anche i 400 lavoratori in esubero dalla recente chiusura della vicina miniera di Snap Lake. I benefici della presenza di questa nuova miniera si riverseranno anche sui Métis canadesi, la popolazione indigena presente nella zona con 6 tribù. Il mercato vira sempre più verso una visione etica dell’estrazione di diamanti, seguendo una richiesta crescente nei consumatori, e il prodotto canadese è uno dei più apprezzati anche e soprattutto per il rapporto che le aziende minerarie riescono ad instaurare con le popolazioni indigene. Attualmente il Canada rappresenta il quinto paese al mondo in termini di produzione diamantifera, il terzo per valore. Al momento la più grande miniera diamantifera canadese attiva è quella di Diavik, che garantisce una produzione di circa 6-7 milioni di carati l’anno, mentre la più grande al mondo resta Jubilee, in Russia. |
Archivi
Maggio 2019
|