![]() In un tour a marce forzate (che interesserà, oltre al distretto del Tarì di Marcianise, anche quelli di Arezzo, Vicenza e Valenza), l’ICE, l’Agenzia per la Promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, sta portando avanti un elaborato progetto teso a favorire l’accesso delle aziende orafe italiane verso i mercati esteri, il Jewellery Export Lab. Il nocciolo della questione resta quello di sempre. Il sistema produttivo, una volta rigoglioso, che ruota intorno al mondo del gioiello italiano, si è inceppato per una serie di cambiamenti che si sono manifestati quasi tutti contemporaneamente. L’intervento a sostegno dell'accesso sul mercato globale evidenzia proprio la presa di coscienza sostanziale del fatto semplicissimo che l’impresa orafa Italiana tradizionale, e in particolare quella meridionale, non entra automaticamente nel mondo moderno. Orientarsi verso l'export comporta uno sforzo di aggiornamento delle procedure. Tutti i tentativi precedenti di raggiungere nuovi mercati si sono dimostrati meno efficaci di quanto si potesse prevedere perché sono mancati alcuni fattori decisivi. Innanzitutto si deve fare i conti con le dimensioni delle imprese (il tessuto orafo appare polverizzato in tantissime aziende di piccola o media grandezza). Questo implica più che mai la necessità di agire in una rete con interessi condivisi ed obiettivi precisi. Ma è anche la cultura d’impresa che deve mostrarsi adatta ad incontrare le richieste del mercato internazionale. Il programma dell'ICE sembra aver focalizzato correttamente il gap di conoscenze operative che limita il successo dell'export orafo italiano. Sono previste sessioni di audit volte a dialogare con le singole imprese, per accompagnarle alla consapevolezza delle proprie possibilità e per consolidare la formazione interna di quelle figure professionali in grado di favorire questo passaggio di competenze e di capacità. Il costo per le singole aziende è assolutamente sostenibile. Il nuovo approccio verso l’internazionalizzazione che oggi è stato presentato agli operatori del Tarì porta sul territorio quella visione particolarmente dinamica ed efficace che ha segnato nel tempo l'operato del Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Altro fattore di grande sostegno è rappresentato dall’elezione di Licia Mattioli (ex presidente di Federorafi) nel CdA dell’ICE. Si intravede infatti quella concretezza e quell'approccio pragmatico che è possibile quando si tiene conto delle realtà specifiche di un comparto così complesso quale quello della gioielleria. L’incontro presso il centro di Marcianise ha riscosso un apprezzabile successo di pubblico ed un interesse evidente da parte di quelle imprese che sentono di avere una vocazione spiccata per l’export, senza però essere finora riuscite ad incidere in maniera evidente nelle percentuali del loro fatturato. Il lavoro che si prospetta in fondo non è altro che prender coscienza di dover tornare sui banchi di scuola. Il settore del gioiello italiano ha forse vissuto qualche anno di troppo delle rendite di posizione acquisite in quella che però è un’epoca ormai passata. Il successo dell’iniziativa dunque dipende dalla possibilità di trovare un match tra le aspettative elevate del mercato internazionale, che ancora ci percepisce come riferimento del design orafo, e le reali competenze che ogni singola azienda ha (o non ha). Purtroppo il gap esiste e va affrontato sostituendo, o per meglio dire, integrando, la vecchia formazione maturata in seno ad aziende gestite con logiche poco strutturate, tipica delle piccole-medie imprese italiane, con professionalità capaci di strutturare l’impresa nei campi della web-reputation, dell’export management, della conoscenza tecnica dei prodotti e della corretta trasmissione del loro valore ai potenziali mercati. |
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Maggio 2019
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