La miglior difesa è l'attacco. De Beers, storico produttore e distributore di diamanti naturali, sta vedendo parte del fatturato intaccato dalla crescente immissione sul mercato di ingenti quantità di diamanti sintetici. Sono 16,2 i miliardi di dollari totalizzati dalle vendite di sintetici, con un trend in crescita del 50% per il triennio a venire. Qualcosa bisognava pur aspettarselo. Infatti le prospettive dei diamanti realizzati in laboratorio sono rosee per tre motivi.
La mossa del gigante Anglo American non è istintiva, ma al contrario ponderata. È in realtà una dichiarazione di guerra innanzitutto ai truffatori, quelli che rovinano la credibilità del prodotto naturale. La strategia è chiara. PRIMA MOSSA. Rendere il mercato dei diamanti sintetici qualità gemma, quindi utilizzabili in gioielleria, poco proficuo perché più facilmente smascherabile. In che modo? In primis investendo nella messa a punto e nella distribuzione di macchinari che individuano facilmente la natura del diamante, indipendentemente dal fatto che siano montati o meno. Sono strumenti generalmente designati black box, realizzati con sistemi automatizzati che tolgono gli operatori dall’imbarazzo della complessità del processo di identificazione. De Beers negli ultimi anni ha dirottato molte delle risorse che una volta, quando era monopolista, dedicava al marketing delle gemme, verso la produzione e la diffusione di scatole nere, le apparecchiature capaci di isolare i sintetici e tranquillizzare i produttori. In parole povere, ha ragionato così. Noi non siamo più monopolisti. Se continuiamo a puntare montagne di soldi sulla costruzione della domanda nel consumatore finale, non facciamo altro che creare propensione al consumo per tutti i diamanti. Mica solo i nostri, anche quelli dei concorrenti! SECONDA MOSSA. Questa è l’operazione che va analizzata attentamente. La domanda di diamanti naturali chi la ha creata? De Beers. Ricordiamocelo bene. FOREVER dal senso originale di “per sempre” ha cambiato significato. A partire da 80 anni fa FOREVER si traduce così: “coppie della media borghesia, uscite dai problemi economici, vi fidanzate e vi sposate? Dovete comprare diamanti”. Sì, è una traduzione lunga ma è abbastanza esatta. Allora io, De Beers, ho creato il consumo di massa di diamanti, OK? Adesso però i concorrenti hanno creato, senza che io De Beers lo volessi, la domanda di diamanti sintetici. Per anni abbiamo fatto i bravi e abbiamo dichiarato che questo non era un modello virtuoso. Perché avrebbe fatto vacillare la credibilità dei diamanti naturali. Ed è vero, De Beers ha sviluppato la tecnologia HPHT dagli inizi. Ma non ha mai prima d’oggi pensato di commercializzare diamanti sintetici. Ed ecco allora la mossa che scompagina la scacchiera. De Beers entra nel mercato dei diamanti sintetici. E lo fa con un listino molto basso - si parla di 800 US$ per una pietra da 1 carato al consumatore finale. E con adeguata, sostanziosa, robusta campagna pubblicitaria per far emergere e quindi differenziare il diamante di laboratorio rispetto all’analogo naturale. Si può ben comprendere che la notizia ha preso di sprovvista tutto il comparto orafo: un fulmine a ciel sereno. De Beers, in passato, ha sempre tranquillizzato. Nessuna confusione, lotta al mercato dei diamanti sintetici. Cerchiamo quindi di analizzare questa tattica del colosso multinazionale. È singolare vedere molti operatori invece strapparsi i capelli ed urlare allo scandalo. La tattica invece è semplicemente geniale. Inserirsi nella vendita dei diamanti sintetici ed abbassarne il prezzo è ciò che, più d’ogni altra cosa, può attualmente valorizzare il mercato del diamante naturale, core business del gruppo. Lo avevo già detto il grande Martin Rapaport nel 2013. Basta con la demonizzazione dei sintetici, conviviamoci poiché i prezzi caleranno. Più riduco il listino dei sintetici e più scaverò un solco tra i due mondi e li renderò, di fatto, non più prodotti concorrenti ma diversi. Non più comparabili perché destinati a profili differenti di consumo. Questo è l’esatto contrario di ciò che si proponevano di fare i produttori di sintetico, tipo Pure Grown Diamonds (ex Gemesis). Le vecchie politiche erano infatti tese a mantenere altissima la redditività. Le quotazioni del prodotto finito, creato in laboratorio, non si distanziavano troppo da quelle dell’omologo naturale. Il vero nemico del diamante naturale - hanno pensato alla De Beers - è un diamante sintetico che costa il 30-40% in meno. Non uno che costa un decimo. Se i prezzi dei diamanti sintetici crollano grazie all’ingresso in scena di De Beers che li trasforma in un prodotto di massa, il diamante naturale non può che mantenere (o addirittura incrementare) le caratteristiche distintive che lo hanno accompagnato nel corso dei secoli: valore, unicità, autenticità. Attraverso il nuovo marchio, Lightbox, verranno prodotti circa 500.000 carati di diamante grezzo sintetico l’anno. Per identificare le pietre ottenute in laboratorio e differenziarle dai diamanti naturali, le prime avranno un’iscrizione interna che non sarà possibile eliminare attraverso una semplice ripulitura della pietra – come avveniva in precedenza. Quindi, sempre più fossati tra naturale e sintetico. Le reazioni? Forse un po’ di pancia, è ovvio che prevalga l’incertezza. Il comparto orafo forse non ha tutti gli elementi per giudicare e teme che l’immissione sul mercato di tale prodotto mini la fiducia da parte dei consumatori privati. Ma sotto sotto, questo è un bel messaggio ai Millennials. Quei diamanti sintetici che vi propongono non sono etici. Sono cari. Scacco al Re. Vedremo. “L’anello icona si espande. I suoi colori diventano ancora più intensi e luminosi, nell’immutata purezza del design”. Con queste parole Pomellato presenta quello che è diventato un classico. Oltre alla linea essenziale il pezzo è entrato nella leggenda proprio perché la sua idea di base di fatto rende inutile l’incastonatura classica. Pomellato è un’azienda produttrice di gioielli, fondata nel 1967 su iniziativa di Pino Rabolini nel 1967: ha avuto un rapido successo ed è oggi un marchio top, rinomato soprattutto per lo stile ben definito e riconoscibile, fatto di linee curve e pietre colorate e semi-preziose tagliate in forme larghe e inusuali, spesso squadrate. Il cuscino alla base dell’anello "Nudo" è proprio un ottimo esempio di questa tendenza stilistica. Il "Nudo" è la quintessenza dell’essenziale e riflette la filosofia dell’azienda. La nascita di Pomellato risale al periodo in cui si affermavano i diritti delle donne e il prêt-à-porter e l’impostazione ne riflette ancora lo spirito. Qualche dato sugli ultimi anni? 20 nuovi negozi aperti e un fatturato che nel 2015 superava i 200 milioni di euro. Qual è il segreto costruttivo della pietra che riveste il “Nudo”? Molto semplice: al posto del padiglione classico il costruttore ha immaginato un gradino sagomato in modo tale da permettere alla pietra di alloggiare perfettamente nella struttura. Le altezze sono state individuate per fare in modo di restituire la luce nel miglior modo possibile. Ovviamente, rinunciando al gioco prismatico del padiglione, si ottiene una brillantezza che non è l’ideale ma resta comunque idonea ad illuminare la tavola tutta brio e priva di corona. È stata soprattutto l’introduzione dell’anello “Nudo” da parte di Pomellato a far arrivare in tutte le vetrine il topazio "London Blue". Si tratta della varietà più scura tra i blu del topazio ed è, tra tutte, sicuramente la più pregiata. Il London blue è il fratello più nobile e prezioso della famiglia dei topazi azzurri, tutti ottenuti con un processo controllato di irraggiamento. Il London si presenta con una serie di saturazioni uniche che spaziano da un cobalto grigio, ad un blu elettrico per arrivare ad una nuance petrolio. L’altra varietà più pregiata di topazi azzurri è la Swiss Blue, con toni accesi di blu che superano le migliori saturazioni delle acquemarine. Dal 2013, quando la maggioranza delle sue azioni fu acquistata dalla holding multinazionale francese Kering – di cui François Pinault è amministratore delegato – Pomellato è passata da 42 punti vendita monomarca a 62, di cui 40 gestiti autonomamente dall’azienda. In totale ci sono più 500 rivenditori autorizzati e nel 2016 sono stati aperti nuovi negozi, in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone. Pomellato vende in tutto il mondo ma i gioielli sono fabbricati sempre a Milano in modo artigianale e anche il taglio e la rifinitura delle gemme grezze avvengono nell’officina di Pomellato, contrariamente a quanto fanno altre aziende di gioielli che si limitano a montare le pietre. Il cauto ottimismo dell’ultima edizione dell’evento orafo campano fa ben sperare per la nuova edizione di Tarì MondoPrezioso, la fiera che dall’11 al 14 maggio permette alle 400 aziende del centro orafo di Marcianise (CE) ed ai 100 espositori esterni provenienti dai vari distretti orafi italiani di mostrare le novità del settore ai visitatori. L’area espositiva di questa edizione sarà dedicata al mondo dell’alto artigianato, al gioiello etnico, a quello per matrimonio e quello per bambino, grazie al “Bridal Rings&Jewels”, all’Area Demo dedicata ai Maestri Artigiani del Tarì ed al Focus sui gioielli estrosi e di tendenza “T-Urban Mania – Gioielli etno chic”, con un’originale mostra-evento chiamata “Gioielli e Turbanti” in cui nella giornata di sabato 12 maggio alle ore 15, 10 modelle indosseranno gioielli e turbanti in un’esplosione di colore. E-Motion Diamond e Paolo Minieri Pietre / Evoluzione, moduli 173-174, parteciperanno anche a questa edizione di Tarì MondoPrezioso con le novità per l’estate 2018. Presso E-Motion sarà possibile acquistare gli esclusivi anelli della collezione “Fiocco”, nelle varietà con citrino, ametista e topazio azzurro, e gli anelli della collezione “Carmen”, nelle varietà con rubino, smeraldo, zaffiro e diamante. Paolo Minieri presenta invece due collane di altissima gioielleria in esclusiva per la fiera. La prima è una collana con perle di acqua dolce con pietre faccettate varietà acquamarina, berillo aureo e morganite. La seconda creazione è una collana composta da fili di berillo varietà acquamarina, con pietre faccettate varietà morganite e acquamarina. Una visione stilistica che è partita da lontano: dalla selezione delle gemme da parte del buyer, all’ideazione, al disegno e alla realizzazione pratica da parte dell’orafa. Lustro e saturazione hanno portato ad un risultato che saprà certamente far colpo. Confederazione Nazionale Artigianato (CNA) e Oromare Promogest, società che si occupa della gestione del Centro Orafo Oromare di Marcianise (CE), hanno suggellato il patto per lo sviluppo durante la conference “Eccellenze artigianali in Oromare” del 13 aprile 2018, che segue l’apertura di una sede CNA all’interno del Centro. La conferenza ha ospitato l’intervento del Dott. Francesco Alberico (Amministratore Oromare Promogest), con un excursus sulle idee e sui motivi che spinsero verso l’apertura del Centro; l’intervento del Dott. Salvatore Di Villo (Vice Presidente CNA Campania Nord) sul ruolo fondamentale della CNA per dare valore all’artigianato ed alla piccola-media impresa, oltre all’intervento del Dott. Andrea Santolini (Presidente Nazionale CNA Artistico e Tradizionale) sull’importanza che riveste per il territorio casertano l’apertura della sede operativa CNA ad Oromare. In chiusura, infine, gli interventi di Marina Martinelli (Stella Marina) e del Sindaco di Marcianise. La crisi del Made in Italy è probabilmente la crisi di un sistema produttivo che ha cercato di inseguire obiettivi oramai irrealistici. Oggi la competizione impedisce ai produttori italiani di agire sulla riduzione dei costi deprimendo il valore aggiunto della qualità. Oromare e CNA, Confederazione Nazionale Artigianato, possono trovare una significativa saldatura dei propri interessi promuovendo un processo di qualificazione, di promozione della qualità e di promozione internazionale del valore aggiunto più prezioso: la creatività. La pausa che si è determinata dopo le note vicende che hanno rallentato lo sviluppo di Oromare può allora essere addirittura una risorsa per ripensare lo sviluppo di realtà artigiane estremamente raffinate e potenzialmente molto competitive che si sono insediate nel Centro di Marcianise. Dall’intensa giornata del 13 aprile sono giunti i primi segnali di una strategia che potrà gettare i semi di una nuova rete orafa basata sulle alte tecniche di lavorazione, sulla creatività e sulla qualificazione gemmologica. Oltre ad una numerosa delegazione di giornalisti internazionali, in sala tra i presenti figurava anche l’Associazione Oroitaly, con il suo Presidente Generoso De Sieno ed il suo Segretario generale Gianni Lepre, Associazione che mette insieme le PMI orafe per rafforzare la coesione e potenziare l’internazionalizzazione. L’inganno diamanti da investimento. Non era vero che era impossibile farsi risarcire dalle banche17/4/2018
Qualcuno sta ottenendo dalle banche soldi a titolo di risarcimento per quei diamanti, denominati in modo ingannevole da investimento che sono stati venduti dagli istituti di credito in modo ambiguo ricorrendo a contratti di intermediatori. Decine di migliaia di risparmiatori sono stati truffati, convinti dagli sportelli bancari di poter rientrare facilmente delle cifre investite nel momento in cui avessero voluto rivendere i diamanti acquistati. Se n’è parlato molto e con molta rabbia da parte dei consumatori nel corso dell’ultimo anno e mezzo. La questione sembrava chiusa all’italiana, con un bel pronunciamento dell’Antitrust, delle multe tutto sommato irrisorie rispetto ai volumi negoziati e tanti saluti. E solo i clienti con un portafoglio amplio pareva avessero il potere contrattuale di rinegoziare quelle pietre. La novità è che per molti piccoli risparmiatori è ora possibile ottenere un rimborso, grazie soprattutto a Federconsumatori che comunica di aver ricevuto una risposta positiva in merito da parte dei vertici di Unicredit e di Banca Intesa. Per il momento nessuna risposta, invece, da parte di BPM e da Monte dei Paschi. Per il momento le prime restituzioni da parte degli istituti di sta concretizzando in Emilia dove le transazioni ingannevoli erano state alquanto numerose. Sono almeno 400 i risparmiatori che si sono rivolti allo sportello Federconsumatori di Reggio Emilia, a cui si aggiungono i 650 della provincia di Modena, con un investimento medio che si aggira tra gli 80.000 ed i 100.000 euro. La storia potrebbe non finire qui. Le multe di oltre 13 milioni di euro che l’Antitrust ha inflitto ad Unicredit, Banco Bpm, Intesa San Paolo, Monte dei Paschi di Siena ed ai broker dell’intermediazione, Intermarket Diamond Business e Diamond Private Investment potrebbero non aver intaccato che la punta dell’iceberg, secondo Veroli, vicepresidente dell’Associazione. L’indagine dell’Antitrust potrebbe far detonare una crisi più ampia in quanto nelle vendite mascherate da investimento pare sia coinvolto anche un terzo intermediario, Diamond Love Bond, e una cinquantina di banche del credito cooperativo. L’intenzione di Federconsumatori, nel caso in cui la conciliazione e/o la class action non dovessero sortire gli effetti previsti, è quella di arrivare fino alle soluzioni individuali giudiziarie, l’ultima possibile iniziativa visti i tempi, le risorse ed i costi. CNA, la Confederazione Nazionale Artigianato, sceglie Oromare per l'apertura della sua nuova sede operativa. Il centro orafo di Marcianise (CE) annuncia quindi una serie di iniziative che partiranno già nel breve termine e studiate da CNA in sinergia con Oromare Promogest.
Il primo step è l'appuntamento del 13 aprile 2018 alle ore 10:30. L'Auditorium del centro orafo Oromare ospiterà la conferenza "Oromare & Eccellenze Artigianali". Per l'occasione saranno presenti anche gli organizzatori della mostra internazionale “La pittura dopo il post modernismo”, ospitata dalla Reggia di Caserta dal 16 aprile al 16 giugno. Grazie a CNA, partner dell'evento, Oromare è stata inserita nel tour delle Eccellenze casertane. A breve, per gli appassionati di gemmologia, Oromare ospiterà come al solito l'evento IGI International Gemological Institute Alumni dedicato agli approfondimeti gemmologici. L'edizione di quest'anno ospiterà alcuni excursus molto attuali che porranno il centro orafo campano al centro della discussione gemmologica. La nostra Taglieria Artigiana si è trovata alle prese con un pezzo di gioielleria anni ‘60 di discreta fattura. Realizzato a mano con traforo e un bel movimento a cerniera, il pezzo però sembrava svilito da due tormaline troppo incluse, decisamente non all’altezza della qualità dell’esecuzione orafa. Le tanzaniti, a cui viene dato particolare taglio, completano le due estremità del bracciale e devono essere sagomate per adattarsi perfettamente all’alloggio. Curiosamente, va osservato che probabilmente la zoisite varietà tanzanite non era stata neanche scoperta all’epoca della realizzazione di questo bracciale. Eppure, il suo blu ci è sembrato l’elemento risolutore per rivitalizzare questo interessante pezzo. L’inconfondibile blu della tanzanite si sposa a meraviglia con il metallo che ne risalta la qualità. In un primo momento, la presenza degli zaffiri blu tondi ci sembrava inappropriata e si era considerato di tagliare gemme nei toni del giallo. Ma poi la tanzanite ha conquistato i progettisti, giocando tono su tono con i corindoni. L’effetto finale è quello di un gioiello molto sofisticato in una splendida armonia di forme e colori. Ormai la tanzanite ha 50 anni. Ma è ancora una gemma giovanissima, portata sul mercato da Tiffany agli esordi e legata indissolubilmente all’indimenticabile Campbell R. Bridges. Osare oltre il rosso, verde, blu Avete mai avuto l’impressione che si possa osare di più nel colore delle pietre preziose? Quando guardate sui giornali o nelle vetrine di gioielleria i timbri cromatici di zaffiri, smeraldi e rubini vi appaiono monotoni? Non sempre queste big 3 tra le gemme sono così eccezionali da guadagnarsi da sole i riflettori. Molti si chiedono quale sarà la prossima tinta (o il prossimo gruppo di tinte) che troneggerà sugli oggetti del desiderio di tanti appassionati. Avete ancora la sensazione che manchi sempre qualcosa? Anche questa volta ci hanno pensato gli americani con il loro colore Pantone. Una bella idea, un gruppo di esperti decide sulla base di macrotendenze fashion quali sono gli esatti valori cromatici che saranno presi in carico dal ramo fashion. Ma questa corrispondenza esatta va bene per l’abbigliamento, meno per la gioielleria. Infatti per quanto la natura ci offra un paniere esteso di colori nelle gemme non sempre è possibile replicare con la precisione necessaria quelle nuance così esatte. Se guardiamo i Pantoni degli ultimi anni non possiamo che restare perplessi. Come applicare in gioielleria così meccanicamente l’ultraviolet, il greenery, il rose quartz, il marsala? Trend imposti, modelli ripetuti. Insomma i gioielli rischiano di rimanere imprigionati in cliché di colori usati in modo che finiscono per stancare. I registri usuali propongono blu zaffiri, rosso rubini, verdi smeraldi. Questo gioco funziona sempre il nostro occhio percepisce un piacevole spostamento dal brillante incolore dei diamanti. E ciclicamente si esaurisce perché viene riproposto insistentemente. Bisognerà allora differenziarsi per la qualità o per il taglio. Dall’altro lato l’obbedienza al Pantone ha prodotto nel 2017 la curiosa dittatura dei peridoti. Ma quanti peridoti si possono mai imporre in una vetrina italiana? Quando non si trova il colore, meglio usarli tutti. La storia della creatività orafa lo dimostra. La pietra miliare dell’uso combinato delle pietre preziose la fissò Cartier agli inizi del 900. La gioielleria in stile Tutti Frutti impiega disinvoltamente molte tinte e riesce a trovare infinite combinazioni. Si introdusse di fatto il concetto di tavolozza e la creatività dei designer si dispiega su forme e colori inaspettati. Lo stesso Jacques Cartier, fratello di Pierre, prese a viaggiare frequentemente in India. Proprio nei gioielli indiani si potevano trovare fonti di ispirazione validissime in quanto le tecniche di accostamento di più pietre erano decisamente più avanzate. In India è ancora viva l’eredità classica della gioielleria Moghul che faceva infatti un largo uso di smalti e di pietre di natura diversa. Gli effetti delle combinazioni di forme e colori sono innumerevoli. Possiamo considerare questa tecnica un vero atteggiamento stilistico e culturale. I colori delle gemme sono come i pastelli. Alcuni designer per esempio... Una delle conseguenze dell’utilizzo esteso dei colori delle gemme in combinazioni tra loro è la possibilità di dilatare il range delle tinte utili, riportando alla ribalta l’intero patrimonio nascosto che le pietre potenzialmente esprimono. Non si immagina più l’eccezionalità di un gioiello solo in base all’esclusività dei materiali, quelli più rari, con le saturazioni più esatte e gradevoli. In questa nuova prospettiva cromatica conta molto di più l’originalità e l’armonia. I designer di gioielli hanno da tempo intrapreso questa strada. Un ottimo esempio è quello di Paula Crevoshay. Master a 22 anni in pittura e scultura Paula Crevoshay da New York negli anni ‘80 si stabilì per tre anni - guarda caso - in India con suo marito, un orientalista, avendo la fortuna di risiedere in un Monastero con il Dalai Lama. Paula fece ritorno in patria con un profondo interesse per le svariate combinazioni che le sue capacità artistiche intravedevano nella rigogliosa tradizione indiana per i gioielli. Il tema è fissato: tanti colori da combinare, come pastelli. Ma cosa succede a monte, nel mondo dei produttori e distributori di pietre per gioielli? Giochi policromi, sfumature, accostamenti suggeriti sono ormai un must per chi selezioni, tagli o distribuisca il materiale prezioso. Spinelli, tormaline, zirconi sono disponibili in tinte infinite. Ma soprattutto gli zaffiri fancy si offrono alla lavorazione come veri e propri pastelli, o se volete, tubetti di acquerelli. I risultati degli avvistamenti possono essere considerati già dei pezzi di gioielleria. Per concludere allora è il caso di richiamare l’attenzione sull’effetto Rainbow che i selezionatori più esperti possono ricavare armonizzando le sfumature delle gemme. |
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