Sono anni intensi per San Gennaro (ve lo ricordate? Ad ottobre ci è venuto a trovare al Tarì), la grande icona napoletana a cui è consacrato un colossale tesoro di oltre 21000 opere che lo legano indissolubilmente alla città. Il grande Nume partenopeo vive le difficoltà e le gioie della sua gente. È come un immenso specchio che restituisce le ansie, i progetti, il carattere ed i mutamenti (più che le tradizioni immobili) di un popolo che grazie a questo suo Olimpo tramanda la propria identità. Il patrimonio di San Gennaro è la città. Insieme si accrescono storicamente con le grandi epoche di sviluppo urbano: si veda il busto angioino o la stupefacente mitra settecentesca, grande il progetto urbano, grande il patrono. Ma si consolida nei momenti di transizione e di crisi, quando si stringe il millenario patto per la Protezione e si infittiscono le relazioni che il Santo stabilisce con divino dinamismo con la realtà che vivono i cittadini. La notizia? Sara Lubrano è la prima donna a donare un gioiello al Tesoro. Possibili considerazioni a margine: Napoli torna a casa sua, si riparla della sua profonda anima femminile. Poteva non averla una città adagiata sul corpo innamorato di una Sirena? Prima o poi questo tratto femminile doveva riallacciarsi compiutamente alla figura di San Gennaro, la star del sangue dell'eterna rinascita. Curiosamente quest'anima femminile connota Napoli sin dalle sue viscere: dominata ma mai veramente sopraffatta, persa e rinata, paziente e tenace, rasa al suolo e ricostruita. Sfrontata e pudica con identica credibile passionalità. Nell'accoglienza e nella tolleranza i miti viventi del mare di Partenope e del sangue di San Gennaro sono tracce fondanti di una civiltà saggiamente femmina che sopravvive per un istinto eterno, che le è connaturato, di libertà e di creatività. Non stupisce allora che Sara sia giunta fino alla Deputazione sulla spinta del lavoro tutto femminile dell'associazione EnterprisinGirls, che individua e valorizza il talento di imprenditrici, libere professioniste e donne del terzo settore. Un bel riscatto che colma uno spazio che non poteva non essere occupato dalle donne, le vere interpreti della specificità di Napoli e della sua essenza. Queste porte il Divo le apre. Cosa ha donato Sara a San Gennaro? Una nuova piccola mitra, microscultura a cera persa alta 13 cm, realizzata in ottone con trattamento galvanico dorato ed adornato con smeraldi, corallo, smalto. È un tema da nuovo millennio. Un millennio che ha già imparato la lezione della riproducibilità dell'opera d'arte, delle Volkswagen maggiolino e delle Fiat 500 ridisegnate in quanto icone riconoscibili, non auto ma segni. Oggi se vai su Google, San Gennaro si sostanzia in buona parte nella prodigiosa Mitra. Un'artigiana col background di Sara non poteva che identificare le forme della mitra come quelle più idonee ad evocare la specificità della città e del suo Nume. Al di là di questo archetipo, forse provocatoriamente sarebbero andati bene anche un vistoso collier di perle o un bracciale alla schiava? E perché no, San Gennaro non è un bigotto, il suo Tesoro viene alla città con tutta la Grecia possibile ed è quindi condiviso con Partenope. Proviamo ad immaginare di fotografare l'opera sbalorditiva di Matteo Treglia insieme a questa sua versione ridotta. Grande e piccola mitra. Un paragone impossibile ed improprio che però ci restituisce la meravigliosa continuità storica del Tesoro di San Gennaro. Le opere raccolte sono come un registro dei tempi e delle condizioni sociali in cui sono originate. Il lavoro di Sara segnala l'ingresso nel ciclo produttivo di una nuova componente che poi nuova non è: la creatività delle botteghe delle donne. |
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Maggio 2019
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