Sberle d’autore Ma come? Martin Rapaport spara a zero contro De Beers dalle pagine del Rapnet? Abbiamo letto bene? Sì, è così. Vuoi vedere che per caso questo illustre personaggio, creatore di un listino e di una piattaforma che sono ormai istituzioni nel ramo dei diamanti, ha preso male l’annunciato ingresso del colosso della distribuzione nel delicato ramo dei diamanti sintetici? No, di fare storie per l’imminente sbarco dei diamanti sintetici, a Martin non importa un fico secco. Lo ha detto mille volte. I diamanti sintetici si autoregoleranno da soli con la messa a regime delle presse che manderanno giù i costi di produzione HPHT. Anzi, quello che farà De Beers gli piace un sacco. Farà sintetici a prezzi popolari? Tanto meglio, De Beers ha inventato Forever. Uno che brandizza un avverbio saprà pure come mettere i nomi, no? Ed il nuovo nome è Lightbox. Aspettate un anno, un anno solo, e tutti noi chiameremo così i diamanti sintetici. E si farà la corsa per venderli. Scommettiamo? Gli schiaffi arrivano per altri motivi. Per metterla giù brutale, qui ci si contende una nuova polpetta, una certificazione che manderà in soffitta tutti i certificati di ieri e dell’altro ieri. Si tratta della polpetta della tracciabilità, quella che farà sì che tutti i diamanti sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri. Più richiesti, più costosi, con più certificati. Quali diamanti avranno i titoli giusti?
Venetia, la miniera di diamanti De Beers da cui viene estratto il maggior quantitativo di prodotto in Sudafrica
Volpacchioni non c’è niente da ridere, state perdendo il business futuro dei diamanti Quei diamanti che potranno dire con voce autentica e documentata da dove provengono, chi li ha estratti, chi li ha lavorati, chi li ha distribuiti. In Italia su queste cose sorridiamo ancora compiaciuti come dei volpacchioni cinici che pensano di saperla lunga. I nostri clienti? Per loro conta solo il prezzo, chi volete che se ne infischi della responsabilità. Aspettate un pochetto, diciamo un paio d’anni, che la macchina mediatica si metta in moto e vedrete che si creerà una domanda di pietre etiche. I cinesi non avevano alcuna intenzione di comprare diamanti, anziché giade. Per loro il valore stava lì. Guardate ora, dopo qualche miliardo di dollari di promozioni. Basterà qualche altro film, basterà la rete, qualche ONG. E poi tutti i furbacchioni si ricrederanno e si metteranno a cercare questi nuovi diamanti con certificato di tracciabilità. E come al solito compreranno il pacchetto già fatto e confezionato. Allora perché Rapaport alza la voce e accusa De Beers di distruggere la trasparenza nel commercio dei diamanti? Perché i sightholders sono tenuti per contratto a non svelare che i propri diamanti hanno per fonte di materia prima proprio De Beers. Insomma il gigante dei grezzi non permette che a catena si riveli l’origine geografica dei diamanti, pur conoscendola con esattezza e pur potendola documentare. E di conseguenza la provenienza non può essere precisata sulle caratteristiche Rapnet da chi trasforma e taglia i diamanti di De Beers. Ma De Beers si sa togliere i sassolini dalle scarpe. Sapete cosa ribatte? Sei tu, Rapaport che ti vuoi appropriare del marchio De Beers, non noi a negarlo. Per un gioco, diciamo, di correnti favorevoli, la provenienza geografica potrebbe infatti già funzionare come patente etica. E lo potrebbe fare gratuitamente, come? Sfruttando lo schema di Kimberley che già bene o male protegge i diamanti grezzi di De Beers e di qualunque altro produttore al mondo. De Beers non vuole che si mettano altre targhe ai propri diamanti De Beers infatti è, come tutti i distributori di grezzo, assolutamente obbligato da Kimberley a garantire i passaggi della catena di approvvigionamento. Perché allora non sputa il rospo? Semplice, perché è obbligato solo a garantire che non c’è peccato. Ci dice: cari compratori della filiera di trasformazione e caro acquirente finale, io ti garantisco che conosco la totale legittimità dei passaggi. Non ci sono trucchi, non ci sono abusi, non ci sono etnie che si armano. Canada, Zimbabwe, Botswana, uguali sono. Quindi accontentatevi, nei contratti con i Sightholders ve lo spieghiamo bene, questa roba, nella fase estrattiva, è pulita. Conta la parola mia e voi non potete aggiungere né specificare alcuna provenienza. In altri termini, la provenienza ci garantisce la fiducia dei compratori? E allora deve avere un costo a parte. Conclusioni, il certificato etico deve essere spacchettato da Kimberley e venduto a parte Il litigio Rapaport-De Beers ci dice già una cosa importante. Il controvalore, quello che i grossi gruppi daranno in contropartita all’acquirente etico sarà il contenuto delle nuove piattaforme blockchain. Ed ormai su queste nei diamanti e nelle pietre ci stanno lavorando tutti. Da De Beers al GIA, a Gübelin, a Richline fino a IBM. In cosa consiste una blockchain? In un processo in cui si condividono risorse informatiche per registrare convalidare in maniera sicura informazioni quali i passaggi di lavorazione di una gemma con un proprio ID (certificato o iscrizione laser). Pensavate che le criptovalute fossero trovate eccentriche di qualche folle che smanettava in rete? Il sistema è lo stesso e funziona ancora meglio. La trasparenza, la sostenibilità ambientale, la legittimazione, la responsabilità. Sono tutte belle parole che evocano dei principi condivisibili. Ma sono parole che non presuppongono solo, come si spererebbe, la volontà di riabilitare diseredati, favorire svantaggiati, preservare territori, impedire purghe etniche. Queste sono belle parole chiave indispensabili per legittimare la costruzione di un aumento di valore nel diamante del futuro. Oltre a certificare le 4 C ci sarà una E che le blockchain in costruzione garantiranno in modo digitale e proprietario. La E di etica. E in questo business ci vogliono stare tutti, ma proprio tutti, senza dare punti di vantaggio agli altri. Inclusi Rapaport e De Beers. |
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Maggio 2019
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