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Tarì capofila territoriale? Prima bisogna ritrovare l’identità

15/7/2017

 
Foto
(© tari.it)

Ebbene un risultato è visibile e significativo. Il Tarì ha finalmente incontrato il proprio territorio per cominciare a studiarlo ed a ricercare un dialogo. È già una buona notizia, ci sono stati anche i tempi dell’isolazionismo. Il puntuale (come sempre) resoconto di Chiara De Martino su Preziosa Magazine permette di farsi un’idea degli spunti emersi a Marcianise durante il Convegno dedicato allo sviluppo dell’area casertana. In particolare un punto di partenza per un’analisi ci è dato da Pasquale Persico, docente di Politica economica all’Università di Salerno. Il suo intervento ha posto l’attenzione sullo sviluppo spontaneo del tessuto di imprese che di fatto impone un quadro alquanto eterogeneo. Nel basso casertano non esiste un modello caratterizzante preciso. Il Tarì, impostandosi come cittadella professionale degli addetti ai lavori orafi, convive al lato di grossi insediamenti retail ed a fianco di stabilimenti multinazionali (Coca Cola) i cui destini sono decisi lontano dal Sud Italia. Logiche differenti, strategie coincidenti?
 
Il futuro si dovrà basare dunque - e ciò emerge dalle riflessioni di Pasquale Persico, ma anche di altri relatori - sulla ricomposizione delle varie identità specifiche dei soggetti chiamati in causa. Ma qual è l’identità del Tarì? Forse le slide di presentazione dell’unicità del progetto si sono un po' ingiallite. La cittadella orafa non ha certo smesso di entusiasmare chi non la visita per la prima volta, niente da dire. Ma in vent’anni lo scenario è cambiato: sicurezza, economia di scala, semplificazione logistica sono fattori ancora di grande efficacia. Vero, ma cosa resta della vocazione industriale del primo decennio? O della forza d’attrazione esercitata su imprese e servizi in un raggio geografico esteso?

Foto
(© tari.it)

Enti e soggetti istituzionali sembrano dunque investire il Tarì di un ruolo che non può che rendere orgogliosi i Soci e gli operatori insediati. Ma il compito di agire come volano e catalizzatore di iniziative territoriali riporta alla questione identitaria. Cos’è il Tarì a vent’anni dall’esordio? Un elemento sollecitatore di una economia trasversale fatta di industria, commercio e servizi, come ha giustamente rilevato il Prof. Persico? Certo, lo era e lo è. Ma la componente industriale è quasi scomparsa, quella commerciale è rimpicciolita dal ridimensionamento del comparto gioielleria su scala nazionale, la qualificazione dei servizi non è avanzata. Il Tarì di certo non ha ancora sprigionato un proprio think tank, un ponte per pensare il futuro. È giusto dargli questa competenza di pianificazione estesa?
 
Miglioramenti alla viabilità, logistica stradale, arredi urbani e decoro, dialogo con il territorio, dialogo con la cultura. Va bene tutto. Ma il futuro del Tarì non può prescindere da un tavolo progettuale ben più vasto: cosa saranno l'oreficeria e la gioielleria nel prossimo decennio? Quale sistema distributivo sarà quello vincente? Quanto sarà necessario un deciso innalzamento tecnico-qualitativo? In che dimensioni si potrà accedere all'internazionalizzazione? Cosa sarà conveniente produrre ancora in Italia? Che ruolo avremo in Campania nella nuova geografia fieristica? Quanto strategico è il gioiello nella programmazione economica nazionale? Quale modello formativo dovrà essere adottato per adattare le nuove generazioni al cambiamento? Che legami sarà opportuno stringere con le nuove capitali orafo-gemmologiche mondiali? Come si risponderà alla sfida etica della Fair Disclosure? In che modo il Tarì intende riannodare la propria cultura artigiana a Napoli, la città madre e culla della più generale cultura artistica? Cosa sarà del Polo Orafo Campano prefigurato ad inizio millennio? Che posto occupa oggi il gioiello nella gerarchia dello sviluppo delle imprese decisa dalla Regione e dai soggetti istituzionali?
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